Lorenzo Parrotto, per sognare basta poco

Classe ‘93, romano e romanista (ci tiene sempre a sottolinearlo), Lorenzo Parrotto si diploma nel 2016 presso l’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”. Da allora calca i palchi di tutta Italia, con qualche incursione nel mezzo cinematografico e in quello televisivo, portando la sua energia travolgente e la sua passione ovunque. Si, perché la passione di Lorenzo per il teatro e la recitazione si vede lampante nei suoi occhi, sempre vividi e calamitici.

Di premi ne ha vinti tanti con gli spettacoli in cui è stato protagonista: “Reparto Amleto”, “Vox Family” e “Ragazzi di vita”. Ed è di questo spettacolo che ci ha raccontato diversi aneddoti dopo aver visto il film “Accattone” insieme a noi.

“Nella Roma degli anni 50, Pasolini era una persona scomoda perché faceva vedere quello che era e non quello che lui pensava che fosse. Per quei ragazzi sognare non costava nulla. E queste persone erano pronte a sognare con pochissimo. È incredibile come la gente verso cui oggi nutriamo dei pregiudizi all’epoca aveva cognomi come Rossi, Romano, Verdi”.

Qual è il segreto del successo di Ragazzi di vita?

Oggi realizzare uno spettacolo con 20 attori non è facile, per questo Popolizio è stato molto esigente durante le prove. Ma questo fare squadra verso un obiettivo ha creato coesione. Chi ha visto lo spettacolo, ha potuto vedere 19 forsennati che in maniera schematica ricreavano dei disegni su di un palco dove non c’era niente. Credo che lo spettacolo sia stato apprezzato proprio per questo, per la sua rigorosità.

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Com’è stato recitare seminudi?

Vi racconto un aneddoto. A fine spettacolo, quando mio nonno è venuto a vedermi, l’ho visto piangere. “Lorè, mi sono commosso perché era così, perché quei mutandoni erano quelli che mettevamo veramente”. A teatro ci hanno insegnato che per ricreare uno stato bisogna mettersi in quello stato: se ti vuoi sentire nudo, mettiti allora in mutande davanti a 1500 persone e tutto diventerà normale. Anzi, a quel punto saranno gli altri a essere per te diversi.

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Quanto è importante non perdere le parole romane?

In cinquant’anni la lingua a Roma si è modificata, ci sono termini che noi romani non usiamo più. Basti pensare a “ariocace“, che è simile a “aridaje”. È una frase caduta un po' in disuso ma molto usata dalla precedente generazione, deriva dall'antico gioco dell'oca , molto in voga tra i romani, all'inizio c'era la casella dell'oca, un po' come il via al Monopoli... C'ariochi allora significava: fai un'altro giro, ci rifai?

Per non perdere l’uso di queste parole il teatro ha una funzione fondamentale, perché è un luogo della memoria.

Quanto è importante l’elemento dell’acqua in Ragazzi di Vita?

Basti pensare all’inizio e alla fine. Lo spettacolo comincia sul Tevere e termina sull’Aniene. L’elemento dell’acqua è fondamentale perché fa parte della crescita dei ragazzi. Andare al Tevere significa divertimento, vacanza, ma anche furtarelli e morte, pensiamo all’espressione “buttate ar Tevere”. L’acqua è simbolo della vita e della morte.

Cosa si è perso e cosa è rimasto di Ragazzi di Vita?

È una domanda che ci possiamo fare tutti come romani. Ne parlavo l’altro giorno con un collega. Pensiamo ad esempio a ciò che nasce all’interno di uno stadio: quando si crea una situazione di parità nel punteggio, i tifosi di entrambe le squadre si sfottono e si deridono, anche in modo pesante. Si crea quindi ironia ed evasione. Pasolini diceva che il calcio è “l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo”. Ma Pasolini viveva negli anni Sessanta, non so se direbbe la stessa cosa oggi.

Chi è oggi Accattone?

L’accattone esisterà sempre. Cambia faccia, ma non condizione. Parliamo di coloro che non riescono a integrarsi in un sistema complicato come il nostro, non perché non vogliono.

Prossimi spettacoli?

Sarò sul palco del Teatro Argentina con Satyricon, diretto da Andrea De Rosa e riscritto da Francesco Piccolo. Mentre a dicembre debutterà al Teatro Vittoria Kobane Calling di ZeroCalcare. Vi aspetto a teatro.