In cerca di Pasolini, Pirandello e De André

Lo chiamano luogo dell’anima. È quel posto in cui “il tempo non si ferma e non hai più l’età”, come scriveva Alda Merini in una poesia. Per De André, Pirandello e Pasolini era lo stesso. Alle pendici del Monte Cimino, nell’Alto Lazio, raggiungevano il nirvana: un perfetto stato di felicità. Qui hanno trovato ispirazione o semplicemente riposo dalla frenesia della città. E di loro sono rimasti versi, ricordi, statue, ma anche proprietà. Quella del regista nato a Bologna, in particolare, ha una storia ancora attuale.

“La Torre di Pasolini era di un parente di mia moglie che gliel’ha venduta”. Siamo a Chia, borgo scavato nel tufo in provincia di Soriano nel Cimino. Di persone qui ce ne sono veramente poche. Molte, però, hanno incontrato almeno una volta lo scrittore ucciso a Ostia nel 1975. “Con lui andavo a piantare i fiori”, racconta Renato. Mentre Franca ricorda quando lo vedeva “passeggiare in piazza insieme a Ninetto Davoli, Franco Citti e Adriano Celentano”. C’è un uomo, tuttavia, che ne ha avuto una conoscenza più diretta. “Devi parlare con Giuseppe Troccoli”, consiglia Franca, “abita in una delle ultime case in cima al paese”.

Ad aprire la porta è un signore di 92 anni. “Con Pasolini ho girato Salò o le 120 giornate di Sodoma, ricoprivo il ruolo di un fascista”, racconta Troccoli. “Ci ha fatto guadagnare un po’ di soldi”, prosegue, “e durante le riprese ci faceva dormire in una camera a parte, perché all’epoca avevo una figlia di 10 anni”. Della Torre che il regista ha acquistato nel 1970, Giuseppe conosce la storia. “È Augusto, il marito della zia di mia moglie, che gliel’ha venduta. Pasolini ci veniva spesso e per parecchi anni gliel’ho guardata io”. Raccoglieva le “nocchie” (le nocciole) e controllava che tutto fosse in ordine. Com’era quel posto? “Aveva uno studio incredibile”, dice con stupore. Ma in quell’edificio, risalente al 1200, c’erano anche alcuni problemi.

“Alla Torre la televisione non si vedeva. Così, quando c’erano le partite, la sera veniva qui”. Che tipo era? “Molto gentile, si metteva sempre vicino la finestra. Finita la partita, tornava alla torre con mio figlio e un altro bagascio”, dice con disprezzo. Alla domanda su cosa intende per “bagascio” nicchia: “Per me Pasolini è stata una grande persona, per il resto non lo so. Mio figlio ha recitato in diversi film suoi. Ora ha 65 anni e fa il carabiniere, l’ha aiutato il genero della nipote del regista”. È lei che ora ha deciso di mettere in vendita la Torre. “C’erano sempre le prostitute sulla strada che porta al castello”, spiega Troccoli. Forse quello è stato uno dei motivi che l’ha portata a cedere la proprietà. Ma di chi è ora la Torre? Si può ancora visitare? Le risposte si trovano a Soriano del Cimino, dove attendono delle domande sulla loro vita in quei luoghi anche Pirandello e De André.

Non si può però lasciare Chia senza prima aver compreso perché Pasolini ci veniva così spesso. Se n’era innamorato nel 1963, quando aveva deciso di girare nelle cascate di fosso Castello alcune scene del film Il Vangelo secondo Matteo. “Ebbene, ti confiderò, prima di lasciarti,/ che io vorrei essere scrittore di musica,/ vivere con degli strumenti/ dentro la torre di Viterbo che non riesco a comprare/ nel paesaggio più bello del mondo, dove l’Ariosto/ sarebbe impazzito di gioia nel vedersi ricreato con tanta/ innocenza di querce, colli, acque e botri,/ e lì comporre musica/ l’unica azione espressiva/ forse, alta, e indefinibile come le azioni della realtà”. Così scriveva nel 1966 nel Poeta delle ceneri. Quella Torre, poi, Pasolini se l’è comprata. E si è preso cura anche del paese, tanto che nella piazza principale c’è ancora una statua in suo onore e sotto una frase tratta dal film Il fiore delle Mille e una notte: “La verità non sta in un solo sogno, ma in molti sogni”. A fianco, invece, la sua poesia A ricordo di un chiano.

“Il sole indora Chia con le sue querce rosa, 
e gli Appennini sanno di sabbia calda.
Contadini di Chia!
Centinaia di anni o un momento fa, 
Io ero in voi. 
Ma oggi che la terra è abbandonata dal tempo,
Voi non siete in me.
Qualcuno sente un calore nel suo corpo
Quelli che vanno a Viterbo o negli Appennini
dove è sempre estate, i vecchi mi assomigliano:
ma quelli che voltano le spalle, 
Dio!, e vanno verso un altro luogo
Dio, lasciano la casa agli uccelli, 
lasciano seccare la vasca del letame,
lasciano il campo ai vermi,
lasciano i tetti alla tempesta,
lasciano l’acciottolato all’erba,
e vanno via, e là dov’erano,
non resta neanche il loro silenzio”.

A Soriano nel Cimino, invece, si vive il ricordo di Pirandello e De André. Al primo, nella piazza principale, è stata dedicata anche una statua. “Ci veniva con sua moglie che aveva problemi di salute mentale”, spiega un operatore del castello Orsini, “il medico gli aveva consigliato di portarla in un posto tranquillo”. Pirandello vi soggiorna per tre anni: nel 1908, nel 1911 e nel 1912. E ne scrive anche: “Lì in quel borgo montano/ non aver più coscienza d’essere, come una pietra, come una pianta/ non ricordarsi più neanche del proprio nome/ vivere per vivere”. La natura, dunque, con la faggeta patrimonio dell’UNESCO dal 2017. Eppure le perle di questo comune in provincia di Viterbo non finiscono qui.

“È lo spettacolo della vita mostrato in tutta la sua bellezza”. La Fonte di Papacqua a Palazzo Chigi Albani, voluta dal cardinale Cristoforo Madruzzo intorno al 1564, aveva il compito di stupire gli ospiti. E ci riesce tuttora. “È interamente scolpita in un blocco di trachite, roccia durissima”, racconta Paolo Berti, che qui sta esponendo le sue opere. “Per me il grande satiro a sinistra del blocco sta aprendo un sipario”, prosegue, “e svela quest’opera magnifica, dove una donna fauno rappresenta la vita“. È un trionfo dell’acqua, che emana una musica dolce e rilassante. La stessa che suonava De André in un locale a Soriano nel Cimino.

Al Ristorante Tre Scalini del borgo viterbese si ricorda bene del cantautore ligure il proprietario, Roberto Raffi. “De André veniva sempre qui a mangiare”, racconta Raffi. “Gli ultimi anni è stato a Soriano nella villa di un suo amico. Se tu la vai a vedere, trovi che tutte le vie intorno sono intitolate a lui: via del Campo, via della Povertà, e così via”. Cosa mangiava? “Qui facciamo delle paste un po’ particolari. Fettuccine tagliate fine fine, col ragù, o pappardelle al cinghiale. Poi abbiamo anche gli gnocchi col ferro. Mangiava un giorno una cosa, un giorno un’altra. Qualche volta gli portavo la roba a casa. Era un po’ riservato”. Ma un episodio è rimasto impresso nella memoria di Roberto. “Mi viene la pelle d’oca a pensarci. Una sera si è incontrato qui con Alessandro Alessandroni, quello delle musiche di Morricone (ndr, imita il suono del fischio). Mi hanno fatto fare le 5 di mattina. Se avessi ripreso tutto quanto, ora avevo venduto il video e facevo i soldi. Una cosa pazzesca. Spettacolare”. In questo posto viene anche la nipote di Pasolini. “La Torre? L’ha venduta a degli amici”. Ma si può ancora vedere una domenica al mese: basta chiamare il sig. Fabrizio Allegrini al numero 3498774548. E così riscoprire quei posti di ispirazione e creazione. I luoghi dell’anima.

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