Il grande inquisitore di Daniele Salvo: le domande senza risposta di Dostoevskij

Ci sono domande a cui non si può rispondere. Per questo esiste la fede, l’adesione incondizionata a qualcosa che non si può conoscere. Dio esiste? Sono possibili i miracoli? C’è un aldilà? Ci sarà sempre qualcuno che dice sì e qualcuno che dice no, qualcuno a favore e qualcuno contro, qualcuno che crede e qualcuno che non crede. Le risposte non contano, ma le conseguenze sì. Come il libero arbitrio, che Gesù – secondo le sacre scritture – ci ha lasciati invece di sfamarci di miracoli. Ma siamo in grado di gestirlo? Dostoevskij ne parlava 143 anni fa nel capitolo “Il grande inquisitore”, all’interno del romanzo I fratelli Karamazov; Daniele Salvo ci si è soffermato con lo spettacolo portato in scena l’8 e il 9 gennaio all’Off Off Theatre in via Giulia, tratto proprio da quell’opera letteraria del grande maestro russo. 

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Sulla scena di un tappeto di foglie autunnali, due fratelli si interrogano sulla religione. L’attore Daniele Salvo, che interpreta il senza fede Ivan, e Daniele Ronco, che invece ricopre il ruolo del credente Alëša, assistono al ritorno in terra di Gesù. È il XVI secolo, il tempo dell’Inquisizione spagnola. Il figlio di Dio si palesa a Siviglia e la folla lo riconosce attraverso i miracoli. Ma la Chiesa non può permettere che riprenda il potere, che tolga alle autorità la possibilità di decidere sulla sorte delle persone. Così “il grande inquisitore” lo fa catturare e uccidere. L’opera non è reale, ma è frutto della fantasia di Ivan: un suo poema che racconta al fratello minore per ammonirlo sulla malvagità dell’uomo. Nello spettacolo, però, tutti i passaggi vengono scrupolosamente ricostruiti. 

Lo scrittoio in legno dove Ivan e Alëša parlano si ribalta. Ne appare una croce, quella dove Gesù sarà nuovamente crocifisso. Non prima, però, di aver rievocato le tre tentazioni a cui è stato sottoposto dal diavolo nel deserto. Quella del desiderio carnale, dell’uso dei poteri divini, della rinuncia alle sofferenze che comporta la vita. I figlio di Dio non cede. Ma il male fa paura. Lamenti, urla e rumori sinistri dello spirito maligno interpretato da Melania Giglio terrorizzano il pubblico. Lampi, bagliori, ombre, tremolii. Con pochi spazi e oggetti, si crea un’atmosfera tenebrosa e, allo stesso tempo, affascinante. 

Il poema è finito, il tempo di Gesù anche. Che si congeda dal grande inquisitore baciandolo sulla bocca. Un gesto d’amore, l’ultimo e il solo che possa salvare il mondo. Anche quello di oggi, dove le scelte dovute alla pandemia hanno più diviso che unito e dove le domande sul virus non hanno trovato per la maggior parte risposte. Quello che invece ha unito il pubblico durante lo spettacolo è stato il consenso unanime, quella voglia di tornare al teatro (pieno per l’occasione), quel bisogno d’arte di alto livello. Come Daniele Salvo sa realizzare da anni.