Il Tartufo di Molière, un dramma borghese di grande forza tra Pasolini e Hopper

Una luce serotina soffusa permea la bella terrazza della famiglia di Orgone, carezzando i corpi dei giovani distesi sulle sdraio a prendere il sole. Da uno stereo fuoriesce una musica festosa, ma qualcosa nell’atmosfera è raggelato, teso, come in un quadro di Hopper o in un film di Hitchcock.

L’anziana Madame Pernella, nonna dei giovani licenziosi, interrompe la musica e la quiete lamentandosi per il chiasso e soprattutto accusandoli di una dissolutezza morale e di costume, elogiando invece Tartufo, meschino uomo intrufolatosi nella famiglia e assurto a exemplum virtutis da parte sua e del figlio Orgone.

Le vicende del Tartufo di Molière (Tartuffe ou l'Imposteur), personaggio emblematico della falsità e dell’ipocrisia, sono portate in scena al Quirino da Roberto Valerio, che traspone la vicenda nel Secolo breve.

Non più la Francia del secondo Seicento, quella dell’Ancien Régime del Re Sole Luigi XIV, ma gli anni del boom economico del Novecento, come ci ricordano l’ottima scenografia e i costumi di Giorgio Gori e Lucia Mariani (e come ci suggerisce anche la bella lampada da terra Arco, progettata dai fratelli Castiglioni nel 1962 e ben visibile in scena).

Tartufo è un personaggio complesso, multiforme nella sua scaltrezza e in quell’arrivismo torbido, è una specie di guru-santone, di maliardo affabulatore infingardo. Giuseppe Cederna veste benissimo i panni di questa maschera raggiratrice, con un corpo minuto e una voce ammaliatrice che calzano a pennello per il personaggio. Ottimi anche tutti gli altri personaggi, Vanessa Gravina che interpreta la seduttrice Elmira, affascinante donna che cerca di smascherare il truffatore, e il pater-familias Orgone, interpretato dallo stesso regista Roberto Valerio, brillante anche nell’interpretazione attoriale.

Lo spettatore assiste ad un dramma borghese dal sapore pasoliniano (forte è la rievocazione di Teorema, pellicola del 1968 con una trama per certi versi analoga), ed è testimone dello sgretolarsi della famiglia e dei suoi rapporti causato dall’ingresso in scena di Tartufo, che si insinua come un parassita e sconvolge ogni equilibrio interno del nucleo familiare.

Una satira arguta, portata in scena a colpi di ironia e di pistola, che fa ridere, sorridere e parteggiare il pubblico (“ma non lo vedi che è un truffatore?!” dice con enfasi e trasporto uno spettatore vicino a me, preso a tal punto dallo spettacolo da lasciarsi andare in commenti a voce alta indirizzati agli attori).

Un cast di grande spessore (meritano i molti applausi anche Elisabetta Piccolomini, Luca Tanganelli, Irene Pagano, Massimo Grigò e Roberta Rosignoli, che incidono nonostante i ruoli di secondo piano), guidato dalla buona regia di Roberto Valerio, costruiscono uno spettacolo che riserva diverse sorprese con un doppio finale ucronico in cui è la Giustizia a trionfare.

 Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire.
(Italo Calvino)