Stilo Fetti, penne che pensano

Mentre premo le lettere della tastiera, mi torna in mente quanto mi ha appena detto Marco Fetti, proprietario del negozio di penne in via degli Orfani, 82 (vicino al Parlamento). “Scrivere con una penna stilografica è un altro modo di pensare”. Perché? Me l’ha spiegato mentre mi ha parlato della sua attività, che va avanti dal 1893 e che nasconde diverse storie, soprattutto di politici.

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Quando avete iniziato a vendere e riparare penne?

Mio bisnonno cominciò qui nel 1893. Lei (indica la figlia) è la quinta generazione.

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Nella stanza in cui ci troviamo c’è un grande mobile in noce con numerosi cassetti, mentre in quella successiva c’è un soffitto con travi in legno.

Cosa c’era prima del vostro negozio?

Una stalla. E dietro una mangiatoia (indica la stanza dopo l’ingresso). Questi, invece, sono i mobili di una farmacia, rilevati quando chiudeva. 

Quante marche di penne avete?

Una quindicina. 

La penna più antica?

È del 1900.

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Quella che vendete di più?

Come nome, Montblanc, perché è quella che conoscono tutti. Sopratutto quando devi fare un regalo. Se devi comprarla per te, è la meno venduta. Perché ci sono delle penne più particolari e ricercate.

Quali?

Questa è la penna dedicata a James Dean. Se tu vedi il fermaglio, è la doppietta.  

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Quella più di tendenza?

Quella con i teschi di Montegrappa. 

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E la più costosa?

Sta intorno ai 12-13 mila euro. È in oro massiccio. Mentre quella con il prezzo più alto in circolazione è dell’Aurora. Vale intorno a 1 milione di euro. Sono 1919 brillanti neri ed è tutta in platino. 

Per collezionisti?

Sì, arabi. Sono loro che le chiedono, soprattutto per ostentare.

In una vetrina noto una foto di Mussolini, accanto c’è una penna.

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Questa la usò Mussolini?

Con quella ha firmato la posa della prima pietra dell'aeroporto Littorio (oggi Urbe). La foto, in realtà, è una cartolina pubblicitaria. Mussolini partecipò solo a due pubblicità all’epoca. E una di queste con noi. 

Siamo vicini al Parlamento. Vengono parecchi politici nel vostro negozio?

Negli anni Ottanta e Novanta questo era un ritrovo di politici. Venivano qui e chiacchieravano senza problemi, perché non avevano paura di essere sentiti. Era il loro salotto e per noi era diventata un’abitudine, neanche ci facevamo più caso. A un certo punto, però, mia madre gli ha dovuto dire: “Signori miei, se dovete venire, è per comprare!”. 

Chi passava di politici?

All’epoca della Prima Repubblica si incontravano qui Andreotti, De Mita e Occhetto. Noi venivamo a sapere le notizie di governo 24 ore prima dei giornali. Però, quando si riunivano queste persone, il negozio ce lo chiudevano così come la strada.

Perché si incontravano qui?

Ci conoscevano e potevano stare più tranquilli, lontani da occhi indiscreti.

La stanza interna non si vede dalla strada e l’atmosfera è accogliente. 

Anche Napolitano veniva qui quando era Presidente della Repubblica. Parcheggiava al Pantheon, passava e si prendeva quell’ora di distensione in cui poteva stare tranquillo. 

Una volta è successo un episodio che ancora mi ricordo. Le vedi quelle bottiglie d’inchiostro? Un ministro della Repubblica ha preso il tappo e l’ha girato per sbaglio. Tutto l’inchiostro gli è colato sulla mano ed è dovuto andare di corsa in bagno. Un uomo della scorta, che era fuori al negozio, appena si è girato e non l’ha visto si è fiondato dentro con la pistola in mano. E ha iniziato a gridare: “Dov’è? Dov’è? Dov’è?”. Io l’ho calmato e gli ho detto: “Tranquillo. È al bagno!”. 

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I politici vivono ancora questi luoghi?

Non più. Perché la gente è esasperata e spesso sono attaccati. Cercano di andare in giro senza scorta per dare il meno possibile dell’occhio. E frequentano poco i posti in zona. 

Che sia un politico o un collezionista, dove sta la difficoltà nel vendere una penna?

Sta nell’imparare cos’è una penna. Se dovessi assumere un ragazzo e farlo lavorare qui, prima di diventare autosufficiente per una vendita ci vorrebbero non meno di 3 anni. La difficoltà sta nel conoscere tutte le sfumature, i materiali e i vari segreti dietro una penna, in particolare quella stilografica. Io sono entrato in questo negozio nel 1985. Sono 35 anni che sto qui, e tutt’ora studio. 

Qual è il segreto della penna stilografica?

Ce ne sono tanti, ma il segreto principale sta nel pennino. Basta un millimetro più largo o più stretto che cambia tutto. 

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E il segreto per vendere?

Sta nel capire quello che il cliente vuole da una stilografica. Il tratto, la morbidezza, la flessibilità, l’uso, perché per ogni situazione c’è una penna diversa. 

Mia madre diceva che il buon commerciante è quello che, se entra un cliente, chiede la carta igienica e io non ce l’ho, devo farlo uscire con la carta vetrata. La mentalità è che: chiunque entra, deve uscire con qualcosa, perché, se è entrato, vuol dire che vuole comprare. 

Ti racconto un episodio. Una volta è venuta una signora straniera che voleva comprarsi una penna. Gliene faccio provare una, ma lei mette la penna a punta, dritta e il tratto è duro. Le provo a spiegare che deve inclinarla per avere un tratto più morbido, ma lei non ci riesce. Ti chiederai: sono riuscito a vendere qualcosa? Sì, ben due penne. Cosa mi sono inventato? Ho preso un elastico, gliel’ho messo al polso e l’ho agganciato al fermaglio: così riusciva a scrivere. 

Qual è la differenza tra una roller e una stilografica?

La roller è la classica penna da uso immediato, veloce, da mettersi in tasca e adoperare per strada. La stilografica è un oggetto da tavolino. Te le puoi portare anche dietro, per carità, ma devi stare comodo per scrivere. Sta lì la grossa differenza. 

È una penna più riflessiva.

Hai detto la parola giusta. Fai una prova: scrivi una lettera al computer, vedi che ogni due parole che tu scrivi ci devi pensare e tornare indietro. Poi prova la stilografica, quando scrivi tu non ti fermi, non torni indietro; mentre posi le tue parole con l’inchiostro, il tuo cervello pensa già a quello che scriverai dopo. 

È un diverso modo di pensare. 

Esatto. Il tempo che impieghi con la stilografica per scrivere una parola è quello che ti serve per trovare la parola dopo. Oggi questo è il grande pregio della penna stilografica, che il computer non può replicare.

Quindi non siete impauriti dalle penne elettroniche.

Siamo più impauriti di quello che succede intorno che di quello che vendiamo (ndr, sorride)

Anche perché vendete penne veramente particolari. 

Alcune vengono dalle ditte, ma altre le facciamo produrre noi. E questo fino a 15-20 anni non accadeva. Ora abbiamo in piedi un progetto di 7 penne, una all’anno, dedicate ai sette re di Roma. Ognuna con un colore diverso ispirato a ciò che ha compiuto il singolo re. 

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Ho visto che avete anche un sito online dove vendete le penne.

Sì. Mentre prima era il cliente a venire qui, adesso sei tu che devi andare dal cliente. E l’unico sistema che hai sono i siti web e i social.  

Vengono allora meno persone in negozio?

No, forse ne vengono anche di più. Ma arrivano dicendo: “Ho visto questa penna sul vostro sito”. Oggi devi essere tecnologico. 

Com’è cambiata la penna nel tempo?

La prima penna stilografica è stata ideata nel 1883 da Lewis Edson Waterman, che inventò il serbatoio per ricarica dell’inchiostro. In realtà, nel tempo, la penna non è cambiata come struttura: ha sempre un pennino e un serbatoio (stantuffo o cartuccia). Quello che è cambiato sono i materiali (pennino in oro anziché palladio) e la tecnica di caricamento (a depressione, a doppio serbatoio, questo inventato da Visconti).

Tu quale penna usi?

A casa ne ho più di mille. Ma la mia preferita è la prima che mi hanno regalato: è stato mio nonno per la comunione. E pensa che non è neanche una penna stilografica.

Com’è nata questa passione?

Da sola. Venendo da piccolo qui al negozio. Che è un po’ quello che è successo a lei (indica la figlia). 

Tu, Letizia, hai qualche penna preferita?

A me piacciono le Montegrappa. Vado molto più sull’estetica che sulla scrittura. 

Marco, tra donne e uomini che differenza c’è quando vendete?

La donna sceglie più per il gusto esterno – a meno che non trovi quella a cui piace scrivere. L’uomo guarda più l’aspetto tecnico: la morbidezza del pennino, la calibratura. Ma questo anche perché la donna tiene spesso la penna in borsa, mentre gli uomini nel taschino della giacca. 

I mancini hanno difficoltà a usare la penna stilografica?

Questo è un mito da sfatare. I mancini hanno avuto problemi a scrivere con la stilografica fino a qualche anno fa perché il pennino aveva una struttura diversa. E la punta di iridio, quella che fa scrivere il pennino, aveva una forma diversa. Ora, tutte le case di penne stilografiche la costruiscono tonda. E così tutti i mancini posso adoperare la stilografica senza troppi patemi. 

Un problema però resta: e sta nell’impugnatura. Perché se la mano passa sopra quello che il mancino scrive, allora dovrà adoperare un pennino fino per non sporcarsi. Per questo ognuno ha la propria penna, perché scrive in modo diverso.

Quanti inchiostri diversi ci sono?

Faber-Castell, Montblanc, Montegrappa, Pelikan sono tutti uguali, perché la base chimica è quella. L’unico aspetto che cambia è il pantone di colori. Significa che ogni colore ha 4-5 sfumature diverse. Vuol dire che del blu di Faber-Castell ce ne sono tre tipi diversi di blu, che sono completamenti diversi da quelli che vende Pelikan. 

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Poi ci sono degli inchiostri particolari, sono soprattutto giapponesi, chiamati a ferrogallico. Sono vecchi inchiostri naturali, densi: devi diluire molto la penna. Hanno un uso diverso e li devi saper usare. 

Esistono chiostri indelebili?

No. Perché tutti gli inchiostri sono formati da una percentuale di acqua e una di colorante. Se tu metti dello scotch sopra la scritta e poi metti il foglio nel freezer, l’acqua nell’inchiostro si ghiaccia e se ne va via il colore. Gli inchiostri che durano di più sono i colori chiari: rosso, verde, turchese. Perché, essendo colori chiari, hanno molto più pigmento colorato rispetto a un nero. 

Scripta manent? A quanto pare no. Rimane ciò che si vuol tenere in vita; come tante di queste botteghe, che sono tesori ricchi di storie e aneddoti da raccontare.

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