Robert Musil, “I turbamenti del giovane Törless”

Strano, strano libro. Anzi, se dico “strano” uso una parola troppo generica, non va bene. Oscuro libro mi sembra andare meglio, ma ancora non ci siamo.

Dopotutto, Törless stesso ha difficoltà a trovare le parole che gli servono, le pagine che raccontano i suoi pensieri sono complesse, parlano di visioni, di sensazioni talvolta ineffabili (quanta anticipazione di Proust e delle sue intermittenze del cuore ho trovato!), talvolta - e qui mi ripeto - oscure.

Devo usare più di una parola per descriverlo, proprio perché la complessità è narrata con altrettanta complessità. Tutto questo, sia chiaro, è un bene.

L’anima delle persone (e dovrei usare le virgolette nel parlare di “anima”, perplesso quanto il Direttore del collegio dove studia Törless) è un abisso inintelligibile, spesso ignoto a loro stesse.

I primi capitoli di questo romanzo che stenterei a definire di formazione, tanto è insolito, tanto  è distante a parer mio la conseguenza di questa formazione dalle sue cause - poiché Musil ci dice, a un tratto, cosa ne sarà del giovane Törless - dicevo, i primi capitoli li ho trovati di una tale bellezza da rimanere sconcertato: stavo leggendo un capolavoro chiarissimo della letteratura. Si tratta delle pagine in cui Törless viene presentato con un’inquietudine febbrile, una permeabilità alle esperienze che un po’ lo portano sulla strada dello snobismo, un po’ su quella della ricerca introspettiva: c’è un acume sensibilissimo nella percezione del mondo.

Il giovane ha una fame inappagata di qualcosa che neanche lui sa definire, che nel libro finisce per fagocitare crudelmente la sofferenza di un altro ragazzo. Certo, ho trovato ogni tanto un po’ incongruente questa confusa lucidità in un sedicenne, ma pazienza, Törless potrebbe essere destinato a grandi cose, gli si perdona questa straordinaria precocità.

I due compagni di classe carnefici mi sono sembrati quasi due creature amorali del Divin Marchese De Sade, giustificati da ragioni irragionevoli, accecati da manie di potenza agghiaccianti, vittime essi stessi, ma non meno colpevoli per questo, della deprecabile cultura maschilista che cercava di annientare l’omosessualità (ma che tanto ha ispirato gli scrittori di ogni epoca, a quanto pare).

Conosco troppo poco, quasi niente, sul proposito di Musil per poter considerare il ruolo dell’iniziazione omosessuale all’interno della formazione di Törless o della poetica dello stesso Musil. Il traduttore Giorgio Zampa, ad esempio, giustifica questo episodio come una fra le tante possibili “devianze” - quanta attualità - etero o omosessuali in cui il giovane sarebbe potuto incappare nel corso del suo sviluppo.

Da un lato, però, c’è un traduttore particolarmente propenso, immagino, a liquidare la questione senza indugiare più del dovuto su imbarazzi poco virili, dall’altro una tradizione che, subite consistenti deformazioni, potrebbe essere ricondotta quasi alla paideia, cioè un modello di formazione se non omosessuale sicuramente omoerotico che canta il suo fascino da sirena da un mondo antico, quindi nobile e lecito.

Quale che sia il caso, quale che sia il ruolo dell’esperienza omosessuale per Törless, a circa tre quarti del libro mi sono imbattuto in una di quelle singole frasi che talvolta s’incontrano nei romanzi, le quali dischiudono mondi giganteschi, quasi profetiche, e che in tutta onestà io ho adottato non tanto come una risoluzione della questione, quanto piuttosto come mio personale fulcro di comprensione. Sono frasi come la manzoniana «La sventurata rispose» e qui, in Törless, la frase per me rivelatrice è quella pronunciata da Basini: «Tu hai un modo particolare di tormentarmi».

L’ho letta e mi è parso di comprendere meglio, di avere una chiave di lettura (salvo essere in parte smentito dalla postfazione, che però guardo con diffidenza).

Si tratta di tormento, ma è un tormento diverso da quello crudele, amorale altrimenti subito. È un tormento che somiglia più a quello amoroso, ma si dovrebbe considerare se la qualità di tale tormento dipenda più dalla percezione del soggetto che lo subisce o di colui che lo esercita.

Continuo a chiedermelo, ma tale frase resta la mia personale luce. D’amore si tratta, ne sono certo: quel «modo particolare» c’è, è palese. C’è differenza fra quello che fa Törless e quello che fanno gli altri. Potrebbe essere l’amore di Basini, che sublima le torture ricevute, o potrebbe essere l’amore di Törless, carnefice poco incisivo perché mosso da un sentimento di diversa natura.

In entrambi i casi, l’amore aleggia su questo libro, anche se a prima vista si potrebbe stentare a riconoscerlo.