Prime Video: tutti i film da non perdere (seconda parte)

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Il catalogo di Prime Video è in costante aggiornamento, e il quantitativo di nuovi film aggiunti diventa sempre più sorprendente. Le scelte, a differenza di quelle compiute dalla piattaforma rivale Netflix, sono eclettiche: i nuovi titoli, sono spesso lavori sfigati o reperti archeologici troppo presto dimenticati; perle degli abissi che risultano adesso perfettamente fruibili tramite la pratica applicazione. Cominciamo la nostra esplorazione di questo mare magnum di film scelti partendo da un grande nome del cinema internazionale!

Wim Wenders

Una delle novità più vistose riguarda l’inserimento dei titoli più celebri e acclamati di uno dei tre principali esponenti (insieme a Herzog e Fassbinder) del “nuovo cinema tedesco”.

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Alice nelle città, film del 1974, con Yella Rottländer e Rüdiger Vogler. Un’opera programmatica che rappresenta con una narrazione eccentrica e frastagliata il tema del nomadismo, elemento centrale nella produzione di Wenders. La ricerca errabonda verso nuovi orizzonti sociali, culturali che nella tarda attività porterà il regista a lasciare la Germania alla volta degli Stati Uniti. Ma il suo spirito ramingo e instancabile lo porterà sempre alla ricerca di nuovi lidi da colonizzare e abbandonare.

Il cielo sopra Berlino, film del 1987, con Bruno Ganz e Solveig Dommartin. Tutti quanti ci ricordiamo dell’iconica scena dell’angelico Bruno Ganz - figura quieta e misericordiosa, immensa - osservare le rovine di una Berlino devastata dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Ora abbiamo una nuova occasione per rivederlo, e attraversare così un immaginario di miseria e splendore, che ci fa sognare e pensare.

Falso movimento, film del 1975, con Rüdiger Vogler, Hanna Schygulla e Nastassja Kinski. Opera cupa e malinconica che racconta del viaggio di un giovane scrittore attraverso la Germania, un viaggio segnato di una serie di improbabili incontri che ricordano il mondo di marionette e artistoidi del Bergman più surreale.

Paris, Texas, film del 1984, con Nastassja Kinski, Harry Dean Stanton e Aurore Clément. Vertice manieristico di Wenders, americanissimo. Premiato a Cannes con la Palma d’oro.

Pellicole francesi

Un trittico di film in cui la ricerca formale si coniuga all’idea di rendere l’amore nelle sue varianti più, rispettivamente, incantevoli, perverse, e tragicamente sognanti.

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Il favoloso mondo di Amélie (2001), di Jean Pierre Jeunet. Un film che, non c’è bisogno di dirlo, non necessita di nessuna presentazione.

Doppio amore (2017), di François Ozon. Thriller psicologico (o dovrei dire psicanalitico? Sicuramente, para-psicanalitico…) dallo stile glaciale e l’andamento implacabile. Derive horror prevedibili, eppure… è una delle opere recenti più riusciti di Ozon.

Mood Indigo - la schiuma dei giorni (2014), di Michel Gondry. Un’opera trasformista che – come il romanzo omonimo di Boris Vian da cui è tratto il film – passa da un registro favolistico a uno distopico in maniera traumatica; uno scarto brusco affascinante e parzialmente convincente. Bellissimi Audrey Tautou e Romain Duris.

“Americani!!!!”

Una selezione di film che mostra tutte le sfumature del panorama cinematografico statunitense, varietà che passa dal blockbuster hollywoodiano alle produzioni indipendenti di registi istrionici e ousider.

Paterson, di Jim Jarmush.

Solo gli amanti sopravvivono, di Jim Jarmush.

Zero Dark Thirty, di Kathryn Bigelow.

Zodiac, di David Fincher.

Blue Valentine, di Derek Cianfrance.

21 grammi, di Alejandro González Iñárritu.

Lady Bird, di Greta Gerwig.

Fantastic Mr. Fox, di Wes Anderson.

Il velo dipinto, John Curran.

Albert Nobbs, di Rodrigo García.

Storie borderline

Due pellicole ugualmente crude sì, ma trasognate e intimamente estetiche.

Ma Loute (2016), di Bruno Dumont. Con Fabrice Luchini, Juliette Binoche, Valeria Bruni Tedeschi. Oltre un trio di attori stellari, un’atmosfera rarefatta e sospesa, la bellezza decadente della regione Nord Pas di Calais nell’epoca della Belle Époque; questi due elementi segnano l’immaginario estetico di questa commedia borghese ai limiti dell’assurdo, del grottesco, del nonsense.

Lawrence Anyways (2012), di Xavier Dolan. Un film estetizzante e forzatamente artificiale per accompagnare la rivendicazione identitaria di un uomo che si scopre non più rappresentato dal proprio ruolo di genere, e che compie un lungo viaggio coloratissimo e camp per ritrovarsi.

Drammi & thriller

Film inglesi e francesi abbastanza tradizionali nell’impianto registico, eppure godibili e interessanti in termini di contenuto.

Espiazione, di Joe Wright.

Il vento che accarezza l’erba, di Ken Loach.

Il profeta, di Jacques Auriaud.

In Bruges, di Martin McDonagh.

Sperimentali

Un eterogeno mélange di lavori fra Occidente e Oriente.

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Holy Motors (2012), di Leos Carax. L’opera estrema di un (non più tanto giovane) enfant terrible del cinema francese. Autore di un cinema energico e sperimentale, Leos Carax – sebbene poco prolifico – ci offre un’opera totalmente folle che non possiamo che leggere in relazione all’arte contemporanea. Con Denis Lavant (suo attore feticcio), Eva Mendes, Kylie Minogue, Eva Mendes, Michel Piccoli.

Freaks (1932), di Tod Browning. Celebre cult indimenticabile che mostra uno degli spaccati più affascinanti (e perturbanti) della società americana.

Akira, di Takashi Nakamura.

La femme et le TGV, di Timo von Gunten (corto).

Hitchock/Truffaut, di Kent Jones (documentario).

Una commedia di intelligenza superba

Vi presento Toni Erdmann (2016), di Maren Ade. Storia di un padre completamente suonato e una figlia troppo rigida (o frigida?) e razionale. Film grandioso che dimostra come il cinema possa ancora essere intelligente e divertente. Due o tre scene indimenticabili.

Due drammi di ricercata bellezza

Ana mon amour (2017), di Peter Călin Netzer. Pellicola intimista e raffinata che percorre le vicende interiori di una storia di amore tanto semplice quanto toccante.

Senza né tetto né legge (1985), di Agnès Varda. Opera “documentaria” che sulla scia del cinema minimalista e anti-retorico di Robert Bresson ripercorre la breve vita di una donna che ha deciso di vivere una vita selvaggia e soprattutto… libera.

 Tre film sublimi del maestro inglese dell’estetica

 Tre gioielli che non posso essere raccontati: vanno visti e divorati con gli occhi.

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Giochi nell’acqua (1988), di Peter Greenaway. Capolavoro di ricercatezza suprema, la storia di tre donne assassine in una narrazione che procedere non grazie a eventi o al presunto e naturale scorrere del tempo: ma dal susseguirsi di numeri, che come un timer attraversano tutta la pellicola.

 Il bambino di Macon (1993), di Peter Greenaway. Una storia miracolosa del medioevo rivive per parlarci del nostro presente. Esperimento “teatrale” dal forte significato politico e dalle derive oscenamente (e divinamente) blasfeme.

 I racconti del cuscino (1996), di Peter Greenaway. Tutta la poesia dell’estremo oriente (Cine e Giappone) risplende in una pellicola erotica in modo lirico e per niente idealizzante. Crudeltà e sadismo si intrecciano con la delicata arte della calligrafia, e conseguentemente della letteratura, dei corpi…

Altri classici…

Il quarto potere, di Orson Welles.

Metropolis, di Fritz Lang.

Tre titoli italiani

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La matriarca (1968), di Pasquale Festa Campanile. Film quasi dimenticato che percorre le avventure sessuali di una donna borghese (interpretata dalla fascinosa Catherine Spaak) che dopo la morte del marito scopre un mondo di perversioni più meno innocenti o patetiche tutte da sperimentare. Divertentissimo.

Bellissima (1951), di Luchino Visconti. Elogio alla grandissima Anna Magnani. Un classico un po’ troppo classico (tara di tutti i film di Visconti) che riesce ad essere ancora oggi interessante grazie all’interpretazione magnetica della protagonista.  

I cannibali (1970), di Liliana Cavani. Variazione dell’Antigone (ma non quella di Sofocle, quella perduta di Euripide!) della controversa regista italiana. Trasposizione “attualizzata” che risente fortemente del clima politico sessantottino.