Musei delle cere, fra polveri a slanci di vita

Una band improbabile domina il palco. Interessante scelta di cantanti, generi e stili… sarà un po’ casuale?

         Il museo delle cere di Roma è un luogo decisamente atipico, che per certi versi sta sia dentro che fuori dal tempo della città e del suo presente. È situato in pieno centro storico, in una posizione piuttosto scenografica, occupando un’ala di palazzo Colonna che da su piazza dei Santi Apostoli, ma – nonostante questo – viene spesso rimosso dalla percezione comune, venendo forse semplicemente dimenticato poiché probabilmente ritenuto di serie B, sepolto dal mare magnum di gallerie, rovine e monumenti della capitale. Le ragioni sono molteplici, e si intrecciano con l’interesse che questo luogo è in grado di esercitare sul pubblico medio, raccontandoci aspetti molto peculiari della sterminata, ma anche decadente, realtà culturale romana, unita alla storia del fenomeno dei musei delle cere.

All’ingresso questo duo goliardico ed emblematico ci prepara alla giostra di incontri e duetti che ci attenderà nelle ultime sale

La vista inizia con l’Antica Roma, e siamo subito accolti e contagiati da un mood positivo

Come Londra e Parigi

Il Museo delle Cere di Roma nasce nel 1958 dall’idea di Fernando Canini e si configura ad oggi come il prodotto di un’Italia o di una capitale che, ancora poco avvezza agli agi del boom economico, guarda le grandi città europee non solo come modello culturale ma anche come ispiratrici di un modello di svago tutto nuovo. Come i musei più celebri d Londra e Parigi anche Roma inizia a dotarsi di una collezione di tutto rispetto basata essenzialmente sulle statue di cera dei grandi eroi nazionali. I musei delle cere, infatti, nascono come pratica e istituzione nel XVIII secolo e si basavano essenzialmente di collezioni di cere anatomiche a riproduzione di cadaveri dissezionati; lo scopo era primariamente didattico: i modelli venivano utilizzati per gli studi medici e la pratica artistica, per esempio, all’interno delle grandi accademie di disegno. Il più antico del genere in Italia è il Museo della Specola di Firenze, seguito da quello di Cagliari, il Museo dalle Cere Anatomiche Clementi Susini. Questo tipo di museo per come lo conosciamo oggi è figlio di un’elaborazione risalente ai primi anni del 1800 in cui si diffusero in massima parte statue in cera che effigiavano personaggi celebri del presente o del passato. Ma cosa separa i globalmente visitatissimi Madame Toussauds Museums, proprietà dell’azienda inglese Merlin Entertainments (la stessa azienda che possiede i parchi divertimento di Gardaland e Legoland) dal Museo delle Cere di Roma?

In primo luogo, il museo romano si configura come un’impresa familiare, autofinanziata dai proventi delle vendite dei biglietti e diretta dalla famiglia Canini fin dagli albori, situata da sempre in un’ala adiacente Palazzo Colonna, che ospita nove sale disposte su due piani. In secondo luogo, tende a dare forma in modo arbitrario, a tratti tematico, attraverso le oltre 86 statue in costante rotazione ad una commistione storica che spazia dalle statue di Putin a La Bella Addormentata nel Bosco, il tutto a distanza di pochi metri.

Che mondo è mai questo?

La vera particolarità di questo luogo è l’eccentrica disposizione degli elementi che tende a far dialogare, attraverso connubi e allestimenti metatemporali e sorpassati, personaggi storici come Ghandi e Mandela a margine di una sala il cui centro è occupato dalla statua a grandezza naturale di Donald Trump e dalla schiera di ditattori del Novecento, in cui il grande assente è Stalin, capitanata in modo bizzarro da Barack Obama. L’area russa, debitamente illustrata e posta di fronte, ci regala le riproduzioni di Lenin, Gorbachev e Putin per poi finire con la statua di Sergio Mattarella solo et pensoso, imprigionato fra due pilastri che gli rendono scarsa giustizia. A coronare il tutto, Napoleone seduto sul trono volge uno sguardo dubbioso verso Trump. Al di là della scarsa cura riservata alle povere statue mangiate dagli anni e dalla polvere, la sala geopolitica, come la chiameremo noi, è solo un esempio dei paradossi storici e formali che il museo esibisce. Ma andiamo con ordine: al momento l’entrata del museo ospita quattro statue di cera, in ordine sparso, Brad Pitt, George Clooney, Bob Marley ed Elvis Presley invitano il visitatore a sorpassare il sipario e ad introdursi nell’ala tematica dell’Antica Roma, seguita dalla Sala dei Mostri Sacri del Cinema che condividono lo spazio con Mazzini, Garibaldi e Cavour, seguita a sua volta dalla sala a tema musicale in cui Gigi d’Alessio, Pavarotti e Ligabue (solo per citarne alcuni) improvvisano una jam-session per un pubblico di compositori agé assai esigente.

La vera prodezza scenica la troviamo al piano superiore: il mito hollywoodiano prende forma attraverso la riproduzione di un vero e proprio diner in stile statunitense, frequentato, anche qui in ordine sparso da Jack Sparrow, Bruce Lee, Tom Cruise, Marylin Monroe, Julia Roberts e ovviamente da Elvis Presley. A seguire i grandi artisti e i grandi poeti, nazionali e non, dulcis in fundo, la geopolitica e La Bella Addormentata nel bosco con principe e guardia addormentata e ovviamente prima di approcciarci all’uscita la redenzione e la santità delle statue dei Papi e di Padre Pio. Gli audaci accostamenti rivelano una certa concezione culturale a metà fra un cabinet de curiosités e un oscuro gioco di ruolo, in cui le figure femminili sono quasi totalmente tagliate fuori dai processi storici. A testimonianza di ciò la statua di Cleopatra (la prima statua femminile su sei esposte) viene rappresentata non come una figura politica, ma sdraiata su un letto e imbevuta di sensualità orientalista. Coscienti del fatto che si tratti sì di statue prodotte in tempi non molto recenti, ci chiediamo come sia possibile rileggere o rendere contemporanea una collezione di questo tipo. Sarebbe già sufficiente problematizzare o contestualizzare con il minimo sindacale di apparato storico certi nodi tematici, azione che evidentemente il nostro museo non considera, riducendosi ad una sorta di fritto misto per tutti i gusti o gruppi. La vera afflizione è constatare come in conclusione il risultato assomigli ad una sorta di cumulo di panni vecchi, non vintage, non commerciabile e non spendibile.

Di cera in cera


         Una cosa va detta. Sicuramente non si tratta di un museo delle cere del calibro di quelli di Madame Tussaud (Londra, Amsterdam, Praga, Berlino…), esponendo una collezione più modesta e meno aggiornata. Eppure, nonostante questa posizione di partenza svantaggiosa, nessuna politica museale ha pensato né di svecchiarlo dalle sue polveri né di dargli un taglio più particolare, magari cercando di costruire legami con la storia romana per creare una versione locale e riconoscibile del genere. Facciamo un passo indietro del tempo. Pensando al culto domestico delle “IMAGINES MAIORUM”, icone ricavate con la cera attraverso il calco del volto degli antenati, vediamo che esistono precedenti antichi a questi oggetti scultorei, che oggi assumono tutt’altro significato. Ci racconta Plinio nella Naturalis historia che nella antica società romana, infatti, esisteva un doppio legame che si articolava fra l’identità del singolo individuo, della famiglia e del gruppo sociale, capace di costruire un forte valore identitario, che si stringeva e si ricuciva attraverso una ritualità e una tradizione che assumeva l’immagine sacra e domestica dell’avo quale nume tutelare, non soltanto in una prospettiva religiosa. In questo contesto, tale pratica, appannaggio chiaramente della classe nobiliare, era un fatto profondamente vitale, che nella dinamica messa in campo creava come un patto di sangue che si sviluppava fra le generazioni, e che andava ogni volta confermato, preservando una forma di memoria non scritta, e per questo capace di suggestioni che si radicano e sprofondano insondabilmente nella coscienza. Il volto dell’antenato, inoltre, non era semplicemente rappresentato (come con la scultura e il disegno), era letteralmente la copia negativa di un corpo reale che andava svanendo, che inesorabilmente si cancellava della mente dei familiari e dei conoscenti, mentre nella realtà fenomenica si decomponeva nella materia, lasciando spazio allo scheletro sottostante. C’era dunque qualcosa di drammatico e perturbante in tutto ciò, che – andando ancora indietro nel tempo – ci riporta alle pulsioni e le ritualità arcaiche, raccontandoci del rapporto con la morte, la sua paura ma anche la sua fascinazione, vissuta attraverso una prassi proto-artistica.

Trova l’intruso. Cosa c’entra Obama qui in mezzo?

Alcune statue saranno pure congelate nel presente eterno della cera, ma non si presentano proprio bene…

 

Un pastiche che è un pasticcio

 

         I musei delle cere, ovviamente, non mostrano questo interesse antropologico, e non espongono nemmeno oggetti proto o pseudo artistici, costituendosi piuttosto come luoghi di intrattenimento “leggero”, di svago per la famiglia, sia per grandi che per piccini. Muovendosi fra le sale, a questo proposito, sembra come di leggere un vecchio libro di storia delle elementari, pieno zeppo di fatti storici abbozzati, sviluppati con una narrazione lineare e semplificata, scandita da nomi e volti subito riconoscibili ma già sbiaditi dal tempo. Un tipo di storia che è in realtà nello spazio espositivo solo una facciata, risultando praticamente inesistente. Quello che resta di questo manuale sono le immagini, i ritratti storici e gli sguardo sbiancati da tempo, ma che si presume che un tempo fossero penetranti. Basta poco per vedere che, abbattendo l’ordine cronologico delle epoche, esplode un gusto postmoderno per gli accostamenti arbitrari e “spettacolari”, che riduce la storia a una sorta di lavagna scarabocchiata col gessetto colorato dove si può disegnare di tutto. Una vera e propria parodia delle copertine di quei manuali di studio dove si possono disegnare le corna a Napoleone e i baffi alla Regina Elisabetta. Anzi, più che una lavagna, è come lo sportello di un frigorifero dove si possono attaccare sopra magneti ritraenti i vip e i personaggi storici comprati in qualche negozietto di souvenir, magari durante una gita scolastica. Le pagine più nere del nostro passato si tingono di un rosa spento e scolorito, e anche Hitler, catapultato in questo spazio, diventa un grottesco giocattolo, che sembra quasi giocare alla guerra con la bambola-Mussolini messa lì di fianco. Questo museo, d’altra parte, fa pensare sia alla dimensione della vecchiaia sia a quella infantile, anche per l’effetto risibile che produce suo malgrado, che richiama immediatamente a scoppi di ilarità che rimandano a vecchi programmi comici visti in tv, magari della Rai, guardati la sera sul divano dopo una cena pesante dalla zia. L’idea di mettere tanti personaggi insieme – appartenenti alle epoche e i contesti più svariati – crea risultati buffi e stridenti, che il più delle volte fanno gridare al kitsch e al trash. Vedere, come era possibile in un precedente allestimento, Totti insieme a Padre Pio, accompagnati da un Napoleone rigidamente seduto nella sua posa iconica, sullo sfondo di una balaustra romantica dipinta sulla parete, non può che generare grosse risate, mentre si prosegue la visita come se si stesse visitando una specie di circo immobile, senza risa e lamenti sullo sfondo.

La stata di Totti era in restauro. in compenso, su questi scaffali ci sono diverse sue teste, tutte che lo ritraggono in età, stili e pettinature diverse

La rappresentazione della donna ci è parsa piuttosto problematica, così come viene raccontata dal museo. Innanzitutto, sono pochissime le figure femminili presenti, e spesso svolgono un ruolo accessorio e di completamento di un partner maschile, come nel caso di Cleopatra, mostrata in questa posa disicinta che la rende un giocattolo sessualizzato. Altri personaggi come la Bella addormentata nel bosco, che sembra una barbie, mostrano l’interesse a mostrare una precisa categoria di donne, escluse dalla storia, afferenti ai mondi della fiaba, dello spettacolo, dell’immagine

Più che datato: precocemente invecchiato


         Ci chiediamo: come fa ad esistere (ancora) oggi un museo così datato? Sia per come è mantenuto sia per l’impostazione generale che lo caratterizza. Diciamoci la verità, non si tratta certo di uno spazio di ultima generazione. L’estetica è sicuramente passatista, di gusto smaccatamente folklorista, evidente attraverso il trompe l’oeil sulle pareti che rimandano a immaginari di antiquati ristoranti turistici, ricostruzioni che fanno sorridere viste oggi alla luce di spazi moderni ed essenziali come il museo dell’Ara Pacis, o monumentali come i Musei Capitolini. Entrando nel museo delle cere, piuttosto, sembra come di essere catapultati nella più remota e anonima provincia, lontano dal centro caotico di Roma e della sua identità di capitale. Viene stavolta non tanto da ridere, ma da sorridere, perché il museo rappresenta qualcosa di raro e unico nel panorama odierno, dove la tendenza al gusto moderno (sobrio e standardizzato) ha omologato l’immagine di molte istituzioni culturali. La città, d’altra parte, è fatta di continue contraddizioni, che rischiano di perdersi alla ricerca di un ideale di profitto che annulla le differenze e non racconta più le altre facce del patrimonio, in questo caso quella più arretrata e pittoresca, che ci restituisce uno spaccato sociale che altrimenti non avrebbe una sua adeguata rappresentazione. L’immagine di questo tipo di museo, d’altra parte, non potrebbe mai essere al passo coi tempi, quasi involontariamente congelata e impolverata, intrappolata in una dimensione senza tempo al contempo precocemente invecchiata. Questo, perché questi luoghi per quanto possano essere moderni e luminosi (esponendo vip e personaggi storici della nostra attualità), rimangono ancorati a un concetto primordiale di esperienza proto-artistica, legati così a un culto quasi magico per la vita e la creazione.

Questo è l’angolo più internazionale del museo, un pub che sembra un fast food piuttosto cheap. Al bancone, possiamo essere accolti da una poco simigliante Julia Roberts, mentre per riscaldare la serata c’è Tom Cruise, pronto a servirci un irresistibile drink a base di… acqua minerale

 

Musei delle cere viventi

 

         La cera – come si diceva precedentemente – è un materiale che intrappola la vita al suo interno, perché non solo imita la pelle, ma rimanda all’idea di un rivestimento capace di conservare la materia organica, proteggendola dal decadimento. Un aspetto tragico, legato alla transitorietà della vita, e con essa della giovinezza e della bellezza, che resta sempre presente come uno spettro oltre l’opaco strato della sua superficie. Quanti film e serie tv nel nostro immaginario ci mostrano queste statue prendere magicamente vita? La cera non sconfigge la morte, ma la nega pietrificando sagome di corpi in pose imperturbabili e astratte, lasciandola aleggiare nell’aria come un pulviscolo che appesantisce l’atmosfera in modo vagamente funereo. Per quanto questa esperienza di visita possa fare ridere, come il racconto che se ne sta facendo, tutto questo universo di figure congelate in un eterno presente, abbigliate e imparruccate a festa, ha una sua storia nella nostra cultura, non essendo semplicemente una moda passeggera. Nella Firenze rinascimentale, come ci racconta – fra i vari –­­ Aby Warburg, la ceroplastica era un genere di grande successo. Tale pratica concerneva precisamente nel realizzare copie in cera di personaggi di spicco della società medicea, da “appendere” letteralmente nelle navate della chiesa di Santa Maria Novella, che in questo modo venivano esposti in modo scenografico, trasformando in una vetrina l’edificio religioso. Un gusto così “pagano” per l’immagine che si incontra con la tendenza odierna a glorificare le personalità mediatiche (che vediamo con il culto per le serie di Netflix e Prime, costruite attorno a personaggi carismatici) e mitizzare l’individualismo che fa da padrone alla nostra epoca, con le pratiche di autopromozione e di self empowerment che vediamo osannare da buisnessman a influencer sui vari social network. D’altra parte, a riprova della vitalità del museo, recentemente la statua di Putin è stata sfregiata, a seguito della guerra in Ucraina, come riporta un articolo del Corriere. Per rispondere al carattere controverso che questa figura esercita nell’immaginario collettivo (in quanto la sua sola esposizione in un contesto pubblico potrebbe rischiare di apparire come un involontaria celebrazione), il museo ha dichiarato di voler realizzare anche una scultura di Zelensky. Riguardo la presente questione, vale la pena citare il caso del Musée Gravin a Parigi, che spontaneamente ha annunciato a sua volta l’intenzione di produrre e mostrare una statua del leader ucraniano, senza aver ricevito nessuna precedente sollecitazione da parte del pubblico, rimuovendo subitaneamente l’esemplare putiniano della collezione. A dispetto dello stanco immobilismo di un luogo che vuole negare lo scorrere del tempo, tali accadimenti affermano il potere di queste statue, che al momento giusto possono improvvisamente diventare tutt’altro che manichini polverosi o zombie inquietanti, ricordandoci ancora una volta come il museo sia uno spazio politico.

Mattarella forse vorrebbe sedersi su quella sedia vuota, ma evidentemente qualcosa lo induce a diffidare di Putin