Marzia Rumi filma il cambiamento con Islam de Cuba: "È in atto una rivoluzione religiosa"

1959. Cuba. I vescovi condannano il comunismo. Fidel Castro dice: “So che Francisco Franco ha lasciato alcuni preti nazisti qui”. 2020. Molti cubani si convertono all’Islam e l’Arabia Saudita inizia a costruire moschee e ristrutturare interi quartieri de L’Avana. Ne parliamo con la regista del film “Islam De Cuba” Marzia Rumi, che ha filmato questa “rivoluzione religiosa”. La pellicola è stata venduta ad Amazon prime in America e qui in Italia è stata presentata a numerosi festival.

Marzia, qual è il tuo rapporto con Cuba?

Sono andata nel 2014 la prima volta, perché là ho scritto la tesi sul cinema cubano con l’Università La Sapienza. Volevo parlare di un cinema diverso, che non si conosceva. Quando sono arrivata non sapevo lo spagnolo né avevo mai fatto un viaggio così importante. Ho fatto il master in produzione cinematografica alla EICTV (Escuela internacional de cine y television) a Cuba e stando lì sono venuta a conoscenza del fenomeno dei cubani convertiti all'Islam. Inoltre ho lavorato al festival del cinema latino americano. Ho quindi avuto l’occasione di vivere la città da interna. Poi sono tornata altre volte per girare il film, che ho iniziato nel 2018.

Il tuo regista preferito è Tomás Gutierrez Alea. Cosa ti colpisce di lui?

È il regista su cui mi sono laureata alla Sapienza. Per quanto riguarda la cinematografia cubana, è quello che rappresenta tutta la storia di Cuba. Per me è importante perché con i suoi film è riuscito a oltrepassare la censura cubana dicendo il suo pensiero.

Cuba è molto varia sulle religioni. Perché hai deciso di raccontare l’Islam?

Cuba è molto interessante dal punto di vista religioso. Perché dopo la rivoluzione del ’59 si è proclamato uno Stato laico, a dire il vero ateo. Non poteva essere quindi professata nessuna religione e quindi, da quel punto in poi, tutte le persone religiose hanno dovuto occultare la loro fede altrimenti venivano messe in carcere. Poi, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, c’è stata più apertura e tolleranza. Di per sé, i cubani sono persone molto curiose, aperte al mondo esterno. È un Paese cattolico, poi ci sono anche la santeria e tante altre religioni. C’è di tutto. Mi ha attirato l’Islam perché c’era uno scontro con la loro cultura.

Anche il rapporto tra Fidel Castro e la religione è stato conflittuale. Per 40 anni non ha messo piede in chiesa. Poi, alla morte di Papa Wojtyla, è tornato. Di se stesso ha detto: “Se le persone dicono che sono cristiano, non dal punto di vista religioso ma da quello della visione della società, allora lo sono”. Tu che pensiero ti sei formata nell’esperienza che hai avuto?

Fidel Castro ha riconosciuto dopo l’importanza della religione. Questo mi ha fatto capire come uno si possa ricredere su alcune scelte del passato.

Una cultura fatta di sigari e rum, difficile da conciliare con le tradizioni cubane.

Il cubano che beve rum e balla ha un forte contrasto con la religione musulmana. E proprio per questo è interessante vedere come le due realtà convivono. In un periodo in cui ci facciamo tante domande sull’Islam è sicuramente d’esempio.

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Tu infatti hai detto: “Questo documentario è rivolto alle persone che riescono a capire la differenza tra religione a terrorismo”. Hai voluto quindi soffermarti sulla religione?

Più che altro sull’aspetto umano di questo incontro. E da questo punto di vista mi sono stati d’insegnamento loro. Perché quando sono arrivata là a Cuba c’era appena stato l’attentato alla sede di Charlie Hebdo. Qui in Italia se ne parlava tantissimo, soprattutto di come la religione musulmana è legata all’Isis, mentre lì non sapevano assolutamente nulla, vivevano nella loro bolla comunista. E così mi hanno insegnato ad approcciarmi a questa religione senza troppi pregiudizi.

Nel film hai raccontato la conversione di tre persone. Perché hai scelto loro?

In realtà ne avevo intervistati 8, poi, a malincuore, ne ho dovuti scegliere di meno. Li ho scelti perché fanno capire le diverse età, fasi della vita ed esigenze, che sono un po’ quelle comuni, del perché uno si avvicina a una religione.

I personaggi li hai cercati tu? Come li hai trovati?

La realtà è che, dal momento che sono cubani, non saprai mai la verità al 100%. Sono dei grandissimi attori. Qualsiasi cosa ti dicono, tendi a crederci, e ho avuto questa difficoltà all’inizio. Poi, avendo passato tanto tempo insieme alle tre persone che ho raccontato, ho stabilito un rapporto molto intenso. Chaana, ad esempio, è molto furba. Quando l’ho conosciuta mi sono detta: “Lei è il personaggio del mio film”. Perché appena l’ho incontrata mi ha detto: “Sì, mi sono convertita all’Islam”. E io le ho risposto: “Ma è difficile qui. Di carne avete solo quella di maiale”. E lei: “Io mangio la carne di maiale e poi chiedo scusa ad Allah”.

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Come è stato l’approccio al film?

Graduale. Non l’ho concepito immediatamente come opera compiuta, si è sviluppata nel tempo. Inizialmente ho avuto la presunzione dell’opera prima, pensando che fosse tutto facile e che potevo riprendere da sola. Poi mi sono resa conto che fare un film richiede tanta forza di volontà e tante persone che collaborano. Sono stata fortunata ad avere grandi professionisti al mio fianco che mi hanno aiutata, da sola sarebbe stato difficile.

Come è nato il progetto?

All’inizio non riuscivo a trovare un finanziatore. Ho trovato dei biglietti a un buon prezzo per Cuba e ho deciso di partire da sola (voli molto economici con Airfrance che consiglio). Le prime ricerche quindi le ho fatte da sola a spese mie, poi dopo ho trovato un produttore.

Quante telecamere hai utilizzato?

All’inizio della lavorazione del film non avevo attrezzatura, riprendevo con il telefono o con la gopro. Quando invece sono andata con il crowdfunding avevo più telecamere. In tutto ne ho utilizzate cinque. Ed ho trovato interessante questa differenza in fase di montaggio, perché avevo alcune immagini molto belle, impostate bene, da cartolina, e altre, un po’ più vere, che usavo la telecamera a mano e che davano la sensazione di stare lì.

Il tuo lavoro è anche d’inchiesta. Perché hai visto che l’Arabia Saudita sta costruendo nuove moschee e ristrutturando interi quartieri.

Il rapporto tra Cuba e l’Arabia Saudita è un tema delicato e anche molto interessante. Durante la lavorazione del film mi sono chiesta se e come raccontarlo. Perché a Cuba non è facile, specialmente dal punto di vista politico.

L’Arabia Saudita, come tanti altri Paesi, ha visto in Cuba un mercato fertile. Sono entrati in un momento in cui era in grande crisi (era stata abbandonata dal Venezuela) e dal 2010 hanno iniziato ad avere delle relazioni. Così hanno avviato un fondo di sviluppo con cui finanziavano vari progetti, tra cui quello di riqualificazione della città a livello urbanistico e di costruzione della moschea nel 2015 (la prima costruita a Cuba, in un via molto importante Calle Obispo, l’equivalente di via del Corso a Roma). E ora stanno costruendo un’altra moschea che sarà 4 volte più grande di quella.

Tu sei religiosa?

Non professo nessuna religione, però le trovo affascinanti. E ho anche pensato di convertirmi all’Islam.

Hai letto il Corano per prepararti al film?

Sì, mi hanno aiutato anche tanti amici che ho qui a Roma. Come tutte le religioni è complessa, devi avere una guida che ti affianca nella conoscenza.