L’onore perduto secondo Franco Però: quando si è disposti a tutto pur di finire in prima pagina

 

Sull'articolo in copertina che ha appena violato l'esistenza di Katharina Blum c'è il nome dell'autore, ma lei non conosce il volto. Non sa neanche i motivi che hanno spinto il giornalista Werner Tötges a diffondere dettagli (e illazioni) sul suo conto: il passato da orfana, le frequentazioni e le voci malevole dei vicini. "Ma tutto questo cosa c'entra con quello per cui sono indagata?", si chiede la governante della famiglia Blorna, accusata di aver favorito la fuga di un terrorista. C'entra che il giornale deve vendere, il giornalista guadagnare e la gente sapere tutto quello che vuole, anche ciò che non è necessariamente verificato. Un problema che Heinrich Boll – autore del romanzo da cui è tratto lo spettacolo – si poneva nel 1974 e che torna d'attualità in un momento storico dove la diffusione delle notizie è molto più rapida e capillare grazie alle nuove tecnologie, e proprio per questo potenzialmente molto più pericolosa.

Katharina Blum  -Elena Radonicich e Peppino Mazzotta Foto di Simone Di Luca 3952 MEDIA.jpg

Intrappolata tra le pagine dei giornali, la vita di Katharina Blum diventa improvvisamente di dominio pubblico, trasparente come le quinte che sul palco si intrecciano e dividono i diversi ambienti, in cui si può vedere tutto ciò che accade. Non c'è più separazione tra pubblico e privato per la giovane donna. Sul palco, Elena Radonicich (nel ruolo della protagonista) si muove freneticamente, cercando una via d'uscita da quella gabbia di articoli contro di lei in cui si trova imprigionata: ma nessun posto è al sicuro. Ogni luogo viene setacciato da Riccardo Maranzana (che interpreta il giornalista) e ogni particolare dato in pasto al pubblico. Da irreprensibile lavoratrice, secondo la stampa (e, di conseguenza, l'opinione pubblica) Katharina si trasforma in una donna dai facili costumi, perdendo il suo onore e reputazione. E poco importa che il terrorista di cui si era innamorata sia in seguito scagionato dalle accuse insieme a lei: la sua immagine è già rovinata. Rimane invece intatta quella dell'imprenditore Alois (Francesco Migliaccio nel doppio ruolo – per un imprevisto – del Commissario Capo e, appunto, di Alois) che si era innamorato della Blum, ma era stato respinto. È lui che controlla i giornali e perciò è in grado di illuminare ciò che vuole e oscurare tutto il resto, come oggi avviene con gli algoritmi dei social network, che non mostrano quello che vogliamo, ma ciò che vuole "l'intelligenza" artificiale. Mentre questa, tuttavia, non ha volto, quella del giornalista Tötges può essere conosciuta. Katharina decide allora di incontrarlo e di concedergli un'ultima intervista, con la quale finirà di nuovo in prima pagina, ma stavolta non potrà essere lo stesso autore a mettere la firma.

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“Chi si serve pubblicamente delle parole mette in movimento mondi interi e nel piccolo spazio compreso tra due righe si può ammassare talmente tanta dinamite da far saltare in aria questi mondi...”, scriveva Heinrich Böll nel 1959. Le sue parole hanno una potenza esplosiva, ma non altrettanto lo spettacolo realizzato con l’adattamento di Letizia Russo e la regia di Franco Però. Troppi ambienti diversi voluti realizzare nella stessa scena, che portano a un groviglio inestricabile. Manca anche la tensione e tutto sembra posto sullo stesso piano. Tranne la caratterizzazione psicologica degli attori e le loro posizioni, che finiscono tuttavia per sovrapporsi nell'unicità della scena. Uno spettacolo, non da prima pagina.