L'intimità lussureggiante degli Horti Farnesiani: uno sguardo sulla storia

“La sera, dopo aver osservato con tutto agio quelle belle cose, andammo nei giardini del Palatino, ameni spazi verdeggianti che riempiono gl’intervalli tra le rovine dei palazzi dei Cesari. Là, su una grande terrazza aperta al pubblico, cinta di stupendi alberi sotto cui erano disseminati frammenti di capitelli scolpiti, di colonne lisce e scanalate, di bassorilievi e altre cose del genere, come in un altro luogo si sarebbero posti tavoli, siede e panche per allegre riunioni all’aperto – e quando, al tramonto, contemplammo con occhi purificati e consapevoli quel panorama d’inaudita ricchezza, dovemmo riconoscere che un tal quadro si lasciava ben ammirare anche dopo tutti gli altri che avevamo visto quel giorno. [..]. Così, all’osservare le opere artistiche il nostro occhio viene man mano educato, in maniera da renderci sempre più ricettivi di fronte alla realtà della natura e più capaci di gustarne le bellezze”

(Johann W. Goethe, Viaggio in Italia, 3 Settembre 1787)

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Gli Horti Farnesiani sono l’ultima tappa per Goethe dopo una faticosa giornata in giro per Roma a visitare “quelle belle cose” che la città ha da offrire. I “giardini del Palatino” sono così chiamati perché sorgono sul colle Palatino, un tempo sede dell’aristocrazia senatoria e dal XVI secolo proprietà dei Farnese, i quali vollero realizzare i giardini non solo per creare un luogo ameno, ma anche per affiancare alla grandezza di Roma e dell’Impero quella nuova dei Farnese, allora all’apice del potere sulla città.

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L’area degli Horti è sempre stata “verde”: la terrazza della Domus Tiberiana era un giardino pensile fin dai tempi della dinastia Giulio-Claudia e anche i Flavi e gli Antonini ebbero lì i loro giardini. La ragione risiede nel valore sacrale attribuito ai giardini che secondo i Romani dovevano circondare i luoghi dove abitava l’imperatore per legittimarne l’autorità e consacrarne il potere.

In tempo di pandemia questi luoghi, già di per sé misteriosi e contemplativi, si fanno ancora più suggestivi ed evocativi. Si può passeggiare nei vialetti creati dalle siepi regolari, inoltrarsi nei sentieri ombreggiati e sentirsi gli unici visitatori di un tempio dedicato alla natura e al paesaggio. Un primo affaccio sui Fori è quello annidato tra le due uccelliere recentemente restaurate, mentre proseguendo verso il limitare sinistro del giardino si apre una vasta terrazza circolare che offre una vista amplissima sul Foro, l’area capitolina e il Colosseo. Da qui è possibile cogliere con un solo sguardo la magnificenza dell’area archeologica, guadagnando una prospettiva d’insieme che forse nessun altro punto della città concede così generosamente. L’affaccio infatti, seppur molto alto (quasi vertiginoso!), consente di cogliere ogni dettaglio delle rovine sottostanti, creando un perfetto equilibrio tra visione d’insieme e intimità dell’esperienza.

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Come Goethe osservava spesso durante le sue passeggiate nella città, l’architettura di Roma, in primis quella del Colosseo, era orientata al rispecchiamento della grandezza dell’impero negli edifici, i monumenti e i palazzi. I Romani, insomma, sedendo sugli spalti del Colosseo, potevano avere una visione d’insieme, quasi complessiva, di tutto il resto dell’edificio, così da percepire la grandezza del luogo e dell’impero in generale. Simile è la sensazione che si prova negli Horti Farnesiani, dove si può passeggiare in tranquillità tra i sentieri verdeggianti o affacciarsi a picco sulla grandezza di Roma e sulla storia, con buone probabilità che ci si senta stimolati, come sostiene Goethe, ad essere sempre più ricettivi di fronte alla natura e alle sue bellezze.