Il Re Lear di Glauco Mauri mostra tutti i colori dell'animo umano

 

Cade sangue dal cappello del buffone di corte, dal fool (pazzo) come viene chiamato nella tragedia di Shakespeare. Gira intorno sul palco. Vaga incerto nell'oscurità del Teatro Eliseo. Rivoli rossi imprigionano il suo sguardo. Non ha nessuna ferita, è solo un inganno. Non è matto, come viene chiamato, ma sa fingere di esserlo. Chi invece sarà presto preda della follia è il suo padrone: King Lear.

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Corona sul capo e bastone avvolto dal filo spinato, Glauco Mauri entra in scena da re di Britannia e del palcoscenico. Sullo sfondo lettere cubitali scandiscono titolo e nome. E una corona più grande di lui pende sulla sua testa. Quella che indossa calza a pennello, ma se esercita male l'arte di governare, gli strumenti del potere lo possono imprigionare.

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Sono le figlie a incastrarlo. Stanco di amministrare il regno, Lear ha deciso di liberarsi dei suoi averi e donarli a loro. La “lingua untuosa" di Goneril (Linda Gennari) e "l'occhio seducente” di Regan (Aurora Peres) sanno adulare il padre. Cordelia (Emilia Scarpati Fanetti) invece non riesce a compiacerlo e scatena la rabbia di Lear. Viene diseredata, ma saranno le altre due a tradirlo.

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Il rosso della collera, il nero della paura e il giallo della follia. Tutti i colori dell'animo umano si dipingono sul volto di Glauco Mauri. Si alza dalla sedia. Porta la mano al cuore. Poi allunga di scatto il braccio. Qualcosa si è spezzato in lui. Sente che il legame con le figlie ha subìto uno strappo. Le guarda intensamente mentre queste si tengono per mano e pronuncia tre parole. "Sto diventando pazzo". Un gesto, uno scatto che rendono unica l'interpretazione. Non c'è scritto nel testo, Shakespeare non l'aveva previsto, Glauco Mauri l'ha creato. La sublimazione delle parole passa tutta dall'interpretazione. Non servono grandi spostamenti o azioni sconvolgenti per incantare il pubblico. Anche a 89 anni sul palcoscenico bastano poche mosse per far rivivere i grandi autori. Ma lo spettacolo riserva altre sorprese.

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Le lettere che formano la parola "King" non ci sono più. È rimasto solo "Lear". Una solitudine che lo accomuna al compagno di spettacolo (e di vita) Roberto Sturno, qui nel ruolo del conte di Glouchester. Il figlio illegittimo l'ha ingannato. Gli ha fatto credere che il primo erede lo vuole uccidere. Edgar è costretto a fuggire. Si deve rendere irriconoscibile. Comincia a lanciare polvere in aria, in quella che assomiglia a una danza tribale. La trasformazione è compiuta, ma anche altri sono stati contagiati.

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"Guarda, è tutta sulle tue spalle", si sente dalla platea. La pioggia di polvere ha raggiunto il pubblico, coinvolto in ogni istante della messinscena. Elettrizzanti fulmini rossi sulla scritta "King Lear", tenebrose proiezioni video sopra la struttura metallica e incisiva musica di sottofondo che detta un ritmo sempre più incalzante. Anche la follia inizia a premere su Re Lear. È vestita con una camicia color porpora, ha il colletto alzato e il cappello da giullare in testa. Il Matto (Dario Cantarelli) è la figura chiave dello spettacolo. Ha accompagnato Re Lear durante tutto il suo cammino. L'ha sorretto, schernito e dilettato. È sempre stato al suo fianco, anche ora che il suo padrone non ha più nulla. Non è mai stato pazzo, lo diventerà invece il re e chi non è in grado di accettare la propria follia.

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E così tre ore di spettacolo volano. Non c'è tempo per distrarsi. Il rapporto tra padri e figli, il legame tra disperazione e follia, e il conflitto tra ragione e sentimento travolgono i pensieri degli spettatori. “Il teatro deve essere una fucina di interrogativi e non di verità", ha spiegato di recente Glauco Mauri a Repubblica, "perché offre al pubblico emozioni precluse alla loro quotidianità”.

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Le stesse che offre lo spettacolo in scena al Teatro Eliseo e di cui ha avuto esperienza l'attore sin dall'adolescenza, quando era solito vedere gli spettacoli dal loggione. "Non c'era l'orchestra, la scenografia era approssimativa. Ma via via che il protagonista diceva le battute, ebbi l'impressione che stesse parlando a me. Fu così che capii la bellezza del teatro: un essere umano che parla ad un altro essere umano. Ancora oggi penso che tra il pubblico possa nascondersi un ragazzo di 15 anni al quale, grazie a mirabili autori, posso insegnare qualcosa sulla vita".

Glauco Mauri a 37 anni in La Cina è vicina (1967)

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Allora, se avete modo di vedere lo spettacolo e incrociare lo sguardo di Glauco Mauri, potrete vedere in lui Shakespeare e tutti i personaggi che ha interpretato. Uscire con tanti interrogativi, ma con una risposta sicura: ne è valsa la pena.