Fellini e l'ombra, un viaggio nella psiche del grande regista

Su Federico Fellini è stato detto e scritto tutto.

Il suo cinema e il suo immaginario sono talmente celebri da essere entrati nel patrimonio visivo comune (chi non conosce la scena di Anita Ekberg e Marcello Mastroianni nella Fontana di Trevi pur non avendo magari visto La dolce vita?).

Eppure ci sono aspetti della sua opera poco noti e approfonditi, che sfuggono al cliché felliniano, fatto di donne e donnone, musichette, suore, preti, prostitute, personaggi clowneschi e circensi. Spesso si è portati a pensare che l’opera di Fellini, e quindi la sua stessa persona, sia relegabile in quest’atmosfera ironica e grottesca, satirica e caricaturale, senza percepire invece la profondità abissale dei suoi film e della sua personalità.

Esiste una parte umbratile del grande regista, una zona oscura del suo “nero cervello” (prendendo in prestito la bella espressione di Hugo su Piranesi), che è stata approfondita di rado.

Si è cimentata in questa impresa non semplice la regista Catherine McGilvray, che ha realizzato un documentario prezioso per ricostruire uno degli aspetti più interessanti e importanti per comprendere l’opera felliniana: il suo rapporto con i sogni, la psicanalisi e con il suo analista Ernst Bernhard.

Allievo di Carl Gustav Jung, lo psicanalista e astrologo tedesco ebbe un ruolo molto importante nella vita di Fellini, sebbene lo abbia frequentato per appena quattro anni, dal 1961 al 1965.

Il numero 12 di via Gregoriana, a pochi passi dalla grande porta mostruosa di Palazzo Zuccari, era frequentato da una buona parte dell’intellighenzia di allora; scrittori e intellettuali come Natalia Ginzburg e Giorgio Manganelli si recavano da Bernhard con la stessa riverenza e sacralità che si concede ad un santone o un oracolo.

“L'ora in cui lo andavo a trovare più volentieri era quella del tramonto, quindi c'era un sole che a un certo momento rendeva tutto dorato il pulviscolo della stanza. C'erano grandi finestre e l'occhio si perdeva su un panorama sterminato di Roma, mentre giungevano i rintocchi di tutti i campanili. Sembrava di essere in una mongolfiera sospesa nell'aria.”

Scriverà Fellini in ricordo di queste visite. Quello con l’analista fu un rapporto molto intenso e proficuo per lui, che si servirà di Bernhard per mettere in ordine i suoi sogni, che puntualmente disegnava al mattino e raccontava poi allo psicanalista junghiano.

"...ci siamo visti molto spesso, a volte anche fuori dal suo studio. Bernhard mi ha sempre ispirato un sentimento di grande pace."

 Il regista non aveva grandi conoscenze della psicanalisi, ma ne era affascinato, e soprattutto ammirava molto Jung, di cui aveva letto alcuni saggi.

Il film Fellini e l’ombra raccoglie molte testimonianze di chi ha conosciuto Fellini e Bernhard, alternando interviste a immagini di repertorio dell’Istituto Luce, la voce narrante della regista a quella dello stesso Fellini, il tutto sostenuto dalle belle ed evocative animazioni realizzate da Gisella Penazzi, che fuggono il rischio dello scimmiottamento dello stile disegnativo di Fellini e creano invece un linguaggio autonomo altrettanto riuscito e affascinante.

Ad accompagnare per mano lo spettatore in questa catabasi nella mente di uno dei più grandi artisti del Novecento, sono Gianfranco Angelucci, storico collaboratore e amico di Fellini, e la protagonista del film (alter ego di McGilvray), una regista che sta realizzando un film su Fellini e sul suo rapporto con la parte oscura di sé. Così, muovendosi tra Roma, Rimini e il lago di Zurigo, dal bar Canova al Grand Hotel fino alla Torre di Bollingen di Jung, Fellini e l’ombra illumina almeno in parte la zona oscura di questo genio della settima arte, mostrando il legame così stretto del suo cinema con i sogni e l’importanza della figura di Bernhard; mostrandoci inoltre forse un poco di quell’anima, tanto ricercata da Jung quanto da Fellini (Asa NIsi MAsa).

 “Tendere l’orecchio e il cuore a qualche cosa che è quasi dimenticato e che non vorrei aver dimenticato”.

F.F.