Da Zeri a 100. Alla scoperta di Federico Zeri nel centenario della sua nascita

Gli anniversari e i centenari sono un’ottima occasione per ricordare e riscoprire personaggi del passato, per togliere un poco di polvere dalla loro memoria offuscata, solleticando la curiosità di chi è ancora tra i vivi e innescando un virtuoso processo di studi.

Il 2020 è stato l’anno di Raffaello (per i 500 anni dalla morte), ma ricorrevano anche i centenari della nascita di Fellini, Alberto Sordi, Gianni Rodari e altri ancora. La pandemia ha bloccato molte delle celebrazioni legate a queste ricorrenze, che sono slittate o sono state ridotte, finendo per avere un’eco decisamente minore del previsto.

Anche quest’anno non mancano le date tonde di grandi personaggi da ricordare e omaggiare (Dante su tutti), e, nella moltitudine di coloro che meriterebbero di essere raccontati, abbiamo scelto di approfondire la figura di Federico Zeri, noto storico dell’arte di cui ricorre il centenario della nascita (12 agosto 1921).

Mentre Luca Mattedi e Davide Ravaioli (il primo borsista presso la Fondazione Zeri e il secondo responsabile della Biblioteca presso la stessa) ci parleranno della sua carriera, dei suoi studi e interessi, della sua biblioteca e in sintesi della sua persona, spetta a me l’onere di introdurre questa figura.

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Perché uno storico dell’arte dovrebbe interessare a dei lettori non addetti ai lavori, ci si potrebbe domandare; ma, come scopriremo, ridurre la figura di Zeri a quella di un semplice studioso è davvero riduttivo.

Federico Zeri era un antico sapiente venuto da un’altra epoca, un profondissimo pozzo di conoscenza, lettore infaticabile e “dannato della memoria”, come diceva egli stesso, costretto cioè a ricordare tutta la sua vita giorno per giorno.

Conoscitore palmare di Roma e della pittura italiana (e non solo), Federico Zeri era noto per il suo occhio formidabile, in grado di riconoscere un pittore dal dettaglio più minuto di un quadro, da un orecchio, una mano, un dito o persino un’unghia. Un occhio acutissimo e scandagliatore che teneva in perenne allenamento con le sue innumerevoli fotografie rigorosamente in bianco e nero. La sua mitica fototeca era una sorta di catalogo di pittura onnivoro e onnicomprensivo, una specie di Google Immagini pittorico prima di Internet, donata poi all’Università di Bologna che gli aveva conferito la laurea ad honorem nell’ultimo suo anno di vita (lui che non aveva avuto un ottimo rapporto con le accademie e le università, avulso com’era ad ogni forma di compromesso o riverenza).

Nato e cresciuto nel centro di Roma, a pochi passi dai Dioscuri e dal Palazzo del Quirinale, in età avanzata si trasferì a Mentana, alle porte di Roma, dove si fece edificare una villa dal grande architetto Andrea Busiri Vici. Villa Zeri a Mentana divenne presto una specie di strano castello, una reggia bizzarra a metà tra un museo singolarissimo e una ricca e opulenta magione, luogo di ritiro e di studio, di contemplazione e di bagordi per pochi intimi, labirinto della memoria visiva e scritta. La sua collezione di epigrafi, che con i suoi circa 400 elementi si configura come tra le più importanti al mondo nel suo genere, si accompagnava a quadri, sculture, mosaici, marmi e oggetti antichi di ogni genere, oltre chiaramente ai libri che ricoprivano ogni interstizio possibile dell’abitazione.

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Il suo istrionismo gli ha permesso di diventare un personaggio televisivo molto noto e apprezzato, oltre che un punto di riferimento del dibattito pubblico italiano del secondo Novecento. Per tutta la vita ha denunciato con fervore ogni deturpazione del paesaggio, criticando aspramente lo stato di incuria in cui verteva (e verte ancora) il patrimonio storico-artistico italiano.

Zeri si servì del piccolo schermo non per fare siparietti televisivi e sceneggiate in “quei programmi demenziali con tribune elettorali” (cosa che sembra andare molto di moda oggi), ma per raccontare agli italiani la storia dell’arte in maniera semplice, efficace, seria e appassionata. Nei numerosi video facilmente reperibili in rete emerge un personaggio sui generis, sempre scisso tra un registro alto e uno basso, tra il serio e il faceto, il sollazzo e il rigore, la parola aulica e ricercata e quella volgare e sguaiata, figlia di una romanità verace e fegatosa. Spiccano in questi video anche i suoi vestiari unici, anche qui tra l’elegante abito da buon signore e la vestaglia improbabile variopinta o in bicolore carcerario, con l’immancabile sigaro tra le dita.

La sua conoscenza e la sua impressionante erudizione spaziavano verso molti e variegati ambiti dello scibile umano, dalla botanica alla poesia, dall’epigrafia alla storia romana, passando per Dante e i romanzi gialli, il cinema e ovviamente la storia dell’arte stricto sensu. Un libro come “Dietro l’immagine” trasuda tutta questa cultura, ma lo fa in maniera comprensibile a tutti, merito raro e prezioso, e soprattutto lo fa in maniera leggera, divertita e mai seriosa. Serioso in effetti Zeri non lo fu mai, anzi, bisogna ricordare che fu un grande amante di scherzi e ghiribizzi; memorabile il racconto di quando da ragazzo, durante una villeggiatura nel paese abruzzese di Tagliacozzo, colorò la fontana principale di rosso sangue con del permanganato, facendo credere a tutta la borghesia romana che scialava ai tavolini in una domenica pomeriggio di essere davanti ad un evento miracoloso.

Il grande studioso fautore di scherzi formidabili e diabolici era lo stesso che frequentava poi principi, principesse e baronie varie, divi di Hollywood e grandi collezionisti, un uomo in grado di conversare con chiunque e su qualunque cosa, unico nella sua bizzarra essenza di saggio millantatore.

“Che un mio capello dal contatto serico, venga lasciato a Valeria Numerico

Che tutto il resto dei miei capelli venga lasciato a Barbara Palombelli

Che il mio naso dalle narici storte venga lasciato ai repubblicani di Orte

Che i miei occhi alla bellezza aperti vengano lasciati a Clea Galimberti

Che la mia bocca carnosa e sensuale venga lasciata a Claudia Cardinale”

(tratto da un programma televisivo in cui Zeri elencava un singolare testamento secondo il quale avrebbe donato parti del suo corpo a personaggi più o meno noti).