Fabio Bordi unisce i mosaici alla street art: “Le collaborazioni mi arricchiscono"

Anche un pallone può diventare mosaico. È quanto si vede nel negozio Fabio Bordi - Mosaici Artistici in via di Panico, 75, a due passi da via dei Coronari. Al posto di uno dei 32 pannelli di cuoio, il mosaicista ha inserito delle tessere di marmo che “rappresentano la fine che ha fatto il calcio oggi”.

Ma non è l’unica contaminazione. Fabio Bordi ha vinto un concorso di arte contemporanea per un’opera realizzata in collaborazione con uno street artist. Nel mosaico è raffigurato uno skater mentre salta. L’ombra dà profondità alla figura e la mette in risalto rispetto al bianco che fa da contorno. A guardarlo così, non sembra un mosaico, ma un adesivo applicato su uno sfondo pixelato. “Lui ha fatto il disegno, io il mosaico”, ci racconta mentre ci accoglie nel suo atelier, dove tiene anche corsi per chi vuole approcciarsi a una delle arti più antiche al mondo.

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Quando hai iniziato?

Ho fatto un corso di mosaico nel 2004 in un laboratorio che sta qui vicino, dove ho conosciuto i miei maestri. Poi ho collaborato con loro per 4-5 anni. Dopo hanno chiuso il negozio perché sono entrati nella sovrintendenza come restauratori. E allora, nel 2010, ho deciso di aprire questo negozio. 

Qual è l’aspetto più importante per diventare un buon mosaicista?

È tutta pratica, con il tempo apprendi. Il segreto è che sommando gli errori arrivi mano a mano a non farne più. Poi, avere dei buoni maestri, non è male: perché abbrevi i tempi di apprendimento. 

I materiali dove li prendi?

Ho un marmista che sta a Tivoli.

 
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Quali sono i marmi più pregiati che usi?

Quelli celesti e verdi, che vengono per la maggior parte dal Sudamerica.

 
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Il mosaico più antico che ti è capitato di restaurare?

Veniva da Taranto. L’ho restaurato quando lavoravo nella bottega dei maestri. Era del III secolo a.C., uno dei più antichi. Perché? Considera che il mosaico si comincia a diffondere dopo la fine delle guerre puniche, quindi siamo nel II secolo a.C.

Inoltre, in quel mosaico si vedeva il passaggio da uno stile all’altro. Prima della creazione della martellina e tagliolo, strumenti che i Greci brevettano tra il IV e il III secolo a.C. e che si adoperano tuttora, si usavano i ciottoli dei fiumi per fare i mosaici. Bene, in quel mosaico di Taranto c’erano entrambe le tecniche. 

 
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Si usano ancora i ciottoli dei fiumi?

Maggiormente per l’esterno, per i giardini. Perché il mosaico da interno viene lisciato e levigato. In quel caso invece no: si fa una “stuccatura” in cemento perché deve rimanere viva la parte del ciottolo.

Qual è la difficoltà maggiore nel lavorare con il mosaico?

Lavorare sul piccolo, perché richiede più tempo. Ti do dei parametri: il tempo di lavoro incide sul prezzo all’80%, mentre il materiale il resto. Per quel mosaico che vedi lì dietro, ad esempio, ci sono voluti 5 mesi.

Ci sono pietre più difficili da tagliare?

Le pietre dure. Come i profidi egiziani, i graniti, e di solito tutte le pietre dal colore verde. Ed è importante conoscerle, perché ogni marmo ha un suo verso di taglio, che è determinato dalla struttura geologica e da come viene tagliato in cava: se in falda o controfalda.

 
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Il marmo di Carrara, ad esempio, è molto facile da tagliare. Ecco perché Michelangelo lo usava per le statue, perché si sottrae molto facilmente. Anche il marmo nero non presenta troppi problemi. Mentre ci sono dei marmi che, se li tagli in un verso, ti si sgretolano in mano.

Un esempio di marmi difficili da tagliare sono il cipollino e l’ardesia. Questi, se li tagli da un lato, si “sfettano” facilmente; se li tagli dal lato opposto, ci vuole una forza enorme e il taglio viene male. 

Nei mosaici alcune tessere brillano. Di che si tratta?

Si tratta dello smalto veneziano a pasta vitrea. Sono tessere che prendono la luce e la riflettono, mentre il marmo l’assorbe e la restituisce attenuata. Se vuoi un gioco di luci, devi usarle entrambe. Come ho fatto per il dipinto di Raffaello, dove per l’incarnato ho usato il marmo mentre per le vesti lo smalto.

 
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Questo sul tavolo è il mosaico finito?

Quello è il dietro del mosaico. La parte buona della tessera tocca la carta. Tu adesso vedi quello che finirà dietro, nel cemento. Come realizzo un mosaico? Metto la malta cementizia all’interno del telaio, giro il foglio con le tessere, lo metto dentro e lo batto. Poi bagno la carta, aspetto 20-30 minuti, tolgo la carta e sotto c’è il mosaico. 

Questa è una tecnica usata dalla fine del 1800, che si può portare avanti da soli, mentre prima non era così. In antichità si lavorava in team: c’era chi disegnava il mosaico, chi tagliava le tessere, chi trasferiva il disegno sulla malta fresca e chi ci applicava sopra le tessere.

I gioielli in mosaico come riesci a crearli?

Si usa una tecnica che si chiama micro mosaico, in cui le tessere arrivano al decimo di millimetro. È un’arte particolare che prevede la fusione dei materiali: così hai circa 29mila tonalità differenti di colore. Nasce nella seconda metà del Settecento e veniva utilizzata per fare le vedute delle rovine romane acquistate dai viaggiatori del Grand Tour. Sono le prime cartoline.

 
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Qual è la giusta distanza per vedere un mosaico?

Mentre per i dipinti si dice che sia la lunghezza di un braccio, perché è la distanza tra l’occhio e la mano del pittore, per i mosaici è la lunghezza che c’è tra l’occhio e il pavimento, visto che solitamente si trovano a terra. Il mosaico, oltretutto, si definisce allontanandosi. E poi, più lo fai piccolo più assomiglia al pittorico. Se vai nella Basilica di San Pietro, per renderti conto che sono mosaici devi andare vicino.

Ti capita di fare anche restauri?

Ogni tanto restauro a Palazzo Massimo, vicino alla stazione Termini. Lì spesso abbiamo montato dei pavimenti che poi vedi a parete. Mi capita di restaurare anche pavimenti alla veneziana, quelli che si sono iniziati a realizzare dal Cinquecento in poi.

Ora su cosa stai lavorando?

Su un mosaico che non ti posso far fotografare perché è di un privato. È un micro mosaico, ha un valore non indifferente. Il proprietario ha un quarto di quello che in origine era un Emblema, che veniva messo al centro dei pavimenti. Rappresenta la parte più importante del pavimento e qui è raffigurata una testa di un leone. Abbiamo capito che è stato fatto in Italia perché come supporto c’è il travertino. Anche se questo tipo di mosaici solitamente li facevano nell’area orientale (Siria, Turchia, Tunisia). Però, in quel caso, utilizzavano come cassa di contenimento altri marmi, come l’alabastro.

Cosa farai adesso?

Utilizzerò un prodotto che uccide tutti i batteri di origine vegetale, poi incollerò i tre pezzi e passerò l’ammonio per togliere il deposito di calcare, perché è rimasto sottoterra per 2mila anni. Finita la pulizia, il cliente deciderà l’ipotesi ricostruttiva: se rifare la parte mancante del mosaico oppure fare un affresco che riproduce la parte che non c’è più.

Sei più per ricostruire o per lasciare cosi com’è?

Ci sono delle indicazione precise in tal senso. Quando lavori con la sovrintendenza, se tu hai il materiale proveniente dallo stesso scavo archeologico, si tende a fare una ricostruzione. Dove non hai il materiale originale si tende invece a fare una “stuccatura” per portare tutto a livello e fare in modo che si conservi. Ma non si mette altro materiale. Perché? Succedeva spesso che non si capiva qual era la parte originale e la parte restaurata.

 
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C’è un lavoro a cui sei più legato?

Il paesaggio di Roma, perché è quello che mi ha richiesto più tempo. Ti mostro una cosa.

 
 

Prende un contenitore spray e inizia a spruzzare acqua sul mosaico.

Quando giri per Roma non ti rendi conto dei colori dei marmi e dei mosaici fin quando non piove.

Le tessere del mosaico iniziano a brillare e splendere più che mai.