Downtown Abbey e il riscatto dei sentimenti

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Vincitore di tre Golden Globe e 15 Emmy, la serie Downtown Abbey ha collezionato in totale 46 premi e 156 nominations. 6 stagioni e 52 episodi ripercorrono le vicende della famiglia Grantham e dei loro domestici, coinvolgendo lo spettatore in una soap opera raffinata e dai toni asciutti, nella quale i dialoghi ben orchestrati, ricchi di ironia e sarcasmo, sono un sentito omaggio al più squisito humour britannico. L’ambientazione è una ricostruzione dettagliata del mondo aristocratico inglese della prima metà del ‘900: i suoi arredi finissimi, le liturgie dei cambi d’abito che scandiscono un tempo apparentemente infinito, la solenne ritualità dei pranzi e delle cene. Tutto si svolge nel segno di un’ostentata discrezione, che sfocia spesso nell’affettazione, ma che è per lo più frutto di un profondo senso di dignità.

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La ricostruzione fedele e puntuale non impedisce però che la storia faccia il suo corso, e la bellezza della serie sta proprio nel narrare con precisione e accuratezza l’entrata in crisi di quel mondo che vuole omaggiare, la favola aristocratica che la guerra, le trasformazioni politiche, tecnologiche e culturali traghettano verso un declino lento ma inesorabile.

Le figlie dei conti Grantham sono un virtuoso esempio di emancipazione femminile, grandi lavoratrici e desiderose di sposare un uomo che amano davvero, così come di imparare a usare il telefono e guidare l’automobile! Una delle figlie di lord Grantham, Sybil, sposa l’autista socialista Tom e si trasferisce con lui in Irlanda, rinunciando agli agi della vita aristocratica, mentre Mary, la maggiore, cede alla lussuria di un rapporto occasionale difendendo il suo diritto al desiderio. A fare da contraltare è la nonna, la contessa Violet Crawley (interpretata da un’intramontabile Maggie Smith), che è invece l’ultimo avamposto di un mondo al tramonto di cui tenta strenuamente di mantenere alti i valori e i codici di comportamento per salvaguardarlo dalle pericolose contaminazioni di classe e di rango. È lei a chiedere “Cos’è un weekend?” quando l’erede di Downtown Abbey, un giovane avvocato poco incline alla vita aristocratica, dichiara di essere libero per la caccia solo nei fine settimana.

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Il declino del mondo dei Lord e dei conti si intreccia alle crisi personali dei protagonisti, che si interrogano sul senso delle loro esistenze e identità. Nei padroni, da un lato, si insinua il timore che la loro vita sia un teatro di riverenze e formalità, senza alcuna utilità sociale. I domestici, dall’altro, si chiedono se non vi sia qualcosa oltre i giardini di Downtown Abbey a cui hanno rinunciato in nome di principi che stanno perdendo valore. All’intreccio tra crisi storica ed esistenziale Kazuo Ishiguro ha dedicato un magnifico romanzo, “Quel che resta del giorno”, nel quale il declino del vecchio mondo va di pari passo con il dileguarsi della vita di un uomo, il devoto maggiordomo Mr Stevens. L’uomo, ormai anziano, ripercorre la sua vita e si chiede se non l’abbia sprecata nel servire con così determinata dedizione il suo storico padrone, Lord Darlington, ora che gli Stati Uniti sono i nuovi dominatori dell’Occidente e l’Impero Britannico è definitivamente in crisi. Tanto più è assalito dai dubbi e dai rimorsi quando comprende che molti ospiti che ha servito e accolto a Darlington Hall erano simpatizzanti dei tedeschi e dei nazisti, e che dunque la sua vita è stata ispirata a un principio di neutralità che ora gli risulta insopportabile e immorale. Ciò che appassiona il lettore è il rapporto tra Mr Stevens e la governante di Darlington Hall, Miss Kenton. Scopriamo che tra i due, negli anni, la stima e il rispetto reciproci si sono trasformati in un sentimento molto simile all’amore e alla passione, ma che la dedizione al lavoro e lo spirito di sacrificio non hanno mai permesso loro di dichiararsi e costruire una vita insieme. È così che nel tempo che resta alla fine del giorno, che è la fine della giovinezza e della vita, i due si incontrano per l’ultima volta, confessando tra le lacrime di aver in parte sprecato la loro vita.

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Mi piace pensare che gli autori di Downtown Abbey abbiano voluto riscattare Mr Stevens e Miss Kenton tramite i personaggi di Mr Carson e Mrs Hughes, rispettivamente il maggiordomo e la governante di Downtown Abbey. I due, infatti, rischiano di cadere nella stessa trappola autoinflitta dei personaggi di Ishiguro: l’estrema professionalità e la passione per il loro ruolo a tratti sfiora il fanatismo, ma durante la sesta e ultima stagione riescono a dare valore e spazio ai loro sentimenti seppur in età avanzata. È Mrs Hughes a chiedere a Mr Carson se non abbia mai desiderato una vita diversa, una chiara citazione della domanda che Miss Kenton pone a Mr Stevens. La risposta, però, è differente, e dopo la nostalgia provata leggendo il romanzo, Downtown Abbey ha il sapore della fiaba a lieto fine.     

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Consigliamo anche il film Downtown Abbey, un ultimo (forse non ultimissimo: un sequel non è da escludere) lungo episodio, che vede i protagonisti tirare le fila delle loro storie mentre con grande apprensione si preparano ad accogliere a Downtown Abbey i reali d’Inghilterra. (Regia di Michael Engler, 2019). Se avete intenzione di vedere la serie, vedetela prima del film per evitare spiacevoli spoiler!

Da vedere assolutamente anche il film tratto dal romanzo di Ishiguro, Quel che resta del giorno, con Anthony Hopkins ed Emma Thompson nei panni di Mr Stevens e Miss Kenton (Regia di James Ivory, 1993).