dEVERSIVO: il delirante flusso di coscienza di Eleonora Danco

Sul palco c’è solo una sedia, illuminata da un fascio di luce. Tutto intorno uno spazio scenico spoglio e buio. Eleonora Danco entra, si siede sulla sedia in silenzio, attende. Poi comincia il soliloquio.

Un’attrice, tre personaggi: la scrittrice, la performer e la regista. Tutte e tre sono accomunate da una cosa, la crisi interiore. La Danco incarna sé stessa, ovvero quel personaggio unico, irrequieto e tragicomico, allo stesso tempo regista, drammaturga, attrice e performer. Come un uccello dotato di penna e taccuino e di macchina da presa, la Danco ci fa viaggiare per una Roma fatta di odori e rumori, di persone, di luoghi…

Mentre si muove slombata per il palcoscenico, rannicchiandosi negli angoli, sedendo sulle sedie o a terra, ci rigurgita addosso un gorgoglio di parole, talmente veloci e rinfuse che non facciamo in tempo a materializzarle nella nostra mente.

deversivo8.jpg

Così lo spazio scarno e disadorno si riempie di immagini e scenografie, diverse per ogni spettatore. Il pubblico viene trasportato a Piazza Navona, poi a Corso Vittorio Emanuele, con la grande cupola di Sant’Adrea della Valle, fino ai palazzoni periferici di Tor Bella Monaca.

Lo spettacolo è una sorta di trasposizione teatrale del primo film della Danco stessa, quel “N-Capace” premiato al Torino Film Festival. Nel documentario si dava voce ai ragazzi e agli anziani di Terracina (compreso il padre della regista), con una serie di interviste raccordate dalla voce narrante della Danco, inframezzate da scene divertenti e a tratti surreali.

Qui invece è solo la sua voce a prendere forma in maniera caotica, confusa, un vero e proprio flusso di coscienza, a tratti delirante e nevrotico.

La Danco, con la sua irrequieta irriverenza, le sue simpatiche stramberie, ricorda il primo Nanni Moretti, quello di “Io sono un autarchico” e di “Ecce bombo”, sempre divertente, ironico e surreale, con un pizzico di genialità sulfurea dei migliori Ciprì e Maresco.

Il monologo parte forte, il pubblico la segue, ride e si diverte, ma dopo una ventina di minuti… boom! “Coup de theatre”!

Il microfono che indossa le salta, prova ad aggiustarlo ma non riesce; prova ad andare avanti senza per un po'. Ma la sua voce non è forte e squillante, e le musiche in sottofondo non aiutano. Dopo pochi minuti si interrompe: “basta così non si può proseguire!”, ed esce di scena. Sembra far tutto parte dello spettacolo, tanta è la naturalezza con cui ne esce. Dopo una breve pausa, torna sul palco e con qualche battuta riprende il filo. Lo rappresentazione prosegue bene, ma l’attenzione va scemando sul finale, forse complice il fastidioso imprevisto.

La Danco si conferma un’originale presenza nel panorama teatrale, una sperimentatrice piacevole e divertente, nonostante la pesantezza dei temi affrontati e i toni diretti e spesso scurrili, con un romanesco piuttosto verace mischiato al dialetto napoletano.   

“Ci devi dare il copione definitivo!
Stamo pe’ debutta, che cazzo dovemo fa?
I costumi come ci vestiamo?
Io ‘e scarpe da casa nun me le porto, vojo le scarpe di scena. ‘A scenografia?? N’ ce sta ‘n cazzo! Alla prova je ‘o faccio come vole lei, n scena je la metto ar culo… Je faccio vertenza sindacale, c’ho a laringite me gira a testa.
Lavoro da 35 anni, voglio sapere perché devo recitare con una busta di plastica in testa.
Ma quanto devo core? Ma perché? Che vor di’? Che faccio? fischio pure?”