Cinque film da vedere su Prime video

Il ricco catalogo si rinnova con cinque sorprendenti titoli.

Enemy (Denis Villeneuve, 2013)

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Un thriller cupo e disturbante con Jake Gyllenhaal che rivela, con una fotografia frammentaria che altera colori e atmosfere con una luce sporca e giallo-verdastra, una grande complessità di trama. Il nostro protagonista è un professore universitario di storia che un giorno scopre di avere un sosia. Quest’ultimo è un famoso attore (il protagonista scopre la sua esistenza grazie al cinema), è sposato e vive nella stessa città. Le somiglianze, e le differenze – tuttavia - non si fermano qui. La simmetria introdotta dal regista mettendo in scena il tema del doppio (che ha come referente un romanzo di Saramago, ma che vede innumerevoli varianti e precedenti in tutta la cultura cinematografica e letteraria) sembra rimandare alla lugubre perfezione della tela di un ragno, icona e simbolo di questa narrazione visuale. Proprio un aracnide gigante – memore della figurazione della serie scultorea delle “Maman” di Louise Bourgeois – domina come un oscuro presagio le sorti di questa vicenda convincente sul versante drammatico e approfondita su quello psicologico.

 

Snowtown (Justin Kruzel, 2011)

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In una squallida città di provincia australiana un uomo si introduce nella vita (tristemente) degradata di una normale famiglia. È proprio la tristezza – unita all’apatia, alla noia, alla mancanza di prospettive future – a erodere l’esistenza di Jamie, spettatore e vittima di violenze che si susseguono monotone e ripetitive fino ad atrofizzare la sensibilità, a far dimenticare la dignità, perfino il proprio nome, forse. Ma precisamente quell’uomo - che si rivelerà essere John Bunting, il più feroce serial killer australiano - porterà un barlume di speranza nella vita del ragazzo, fornendo (illusoriamente) un modello ideale maschile, una figura paterna, un baluardo contro il collasso depressivo generalizzato della famiglia e del contesto sociale in cui vive. Tale figura, orribilmente carismatica, portatrice (mal)sana di un miasma fatto di sogni regressivi e di violenza ci racconta di fenomeni attualissimi. Oltre la furia assassina, c’è un un tessuto culturale disgregato e la cieca irrazionalità di un leader che fa forza su emozioni represse attraverso slogan e incitamenti all’odio, strategia comune a molti volti della politica internazionale che non facciamo fatica a riconoscere.

Microbo & Gasolina (Michel Gondry, 2015)

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Sostenuta da un ritmo brioso e brillante (memore dei migliori traguardi cinematografici del regista e di una tradizione tipicamente francese che risale a Truffaut) la pellicola racconta la tenera e grandiosa storia di amicizia di due ragazzi nella bella Versailles, risultando sia un film di formazione che un road movie. Abbandonano i viaggi onirici di L’arte del sogno e Se mi lasci ti cancello, l’onirismo qui si vena di nostalgia e attraversa la bellezza e i conflitti, tragici e foschi, della prima adolescenza. Microbo e Gasolina sono due ragazzi molto diversi che approfittano delle vacanze per fuggire e vagare in giro per la Francia con un mezzo di trasporto decisamente originale (e di loro creazione!), perfettamente nello stile di Gondry: una casa-macchina che è sia un rifugio che un mezzo audace per bruciare le tappe e crescere sia attraverso esperienze stravaganti che verosimili, perfino reali. Un film che si potrebbe definire “personale” e che dice molto del lato infantile (nel senso migliore del termine) che caratterizza la cifra formale del lavoro del regista, ma che racconta anche di certe fantasie che sono assolutamente rare, e che parlano di amicizia in modo molto toccante, prima che l’età matura faccia eclissare questo sogno di sincerità con il suo rude pragmatismo.

 

Corpo e Anima (Ildikó Enyedi, 2017)

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Un film che inizia con un sogno decisamente “poetico”, e che introduce la sospensione magica di questo idillio nelle vite di due persone che – come sincronizzate nel profondo del proprio inconscio – ogni notte vivono e proseguono la medesima narrazione onirica.  Si tratta di una scena bucolica: due cervi in un bosco, uno maschio e uno femmina, che si abbeverano a una fonte. Dopo la simbiosi notturna, la comune trasfigurazione animale in un universo di purezza, quella che nella vita diurna potrebbe essere una melensa storia d’amore si rivela essere qualcosa di molto più crudo e problematico. Nella gelida realtà industriale di un mattatoio, due persone tentano un difficile avvicinamento, fatto di titubanze e paralisi fisiche e psicologiche. Oltre che melenso, tutto ciò potrebbe anche essere struggente: non lo è. Piuttosto, questo film delicato dalla fotografia pallida e cristallina è superbo e toccante, come riescono a esserlo solo certe pellicole orientali (sto pensando a quelle dei cineasti Lee Chang-dong e Hou Hsiao-hsien).

 

Pola X (Leos Carax, 1999)

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Opera di estremo lirismo che si rivela come l’esperimento più sublime e controverso di un ex enfant terrible del cinema francese. Descrivere la trama sarebbe riduttivo: basterebbe dire che si tratta di una storia profondamente (e morbosamente) incestuosa che vede protagonisti Guillaume Depardieu e Catherine Deneuve in un groviglio di relazioni che coinvolge il ritrovamento di una sorella abbandonata (figura dell’alterità) e un cugino rappresentante di mondo aristocratico e mondano catturato come alla fine dei tempi. Un ritmo disteso e sfumato (gli scenari della campagna francese sono assolutamente pittorici nel senso classico e manierista del termine) fa da pendant a uno caotico e apocalittico, che rivela la vera verve distruttiva del film. Una pulsione di morte logora l’immagine come il senso globale di una narrazione ellittica che si dilata e si contorce come un animale selvatico, metafora adatta per descrivere il cinema paradossalmente libero (ma non di ossessioni) di Carax. Contro ogni buon senso, il film si annuncia come l’insuccesso commerciale più cocente del regista. Una perla nera, dunque, che tuttavia riesce a rifulgere di un fascino autonomo, oltre la coltre del maledettismo che tanto circonda certi flop d’autore che si rivelano, invece, degli sterili esercizi di stile.