Biscottificio Innocenti, un luogo che profuma di gentilezza

Un piovoso venerdì. Via della Luce è una di quelle strade silenziose della parte di Trastevere meno frequentata, dove ancora si vive e si percepisce l’identità di un quartiere storico. A dispetto del nome, l’unica luce che investe il marciapiede è quella che proviene dalla grande vetrina decorata del Biscottificio Innocenti. Decorata sì, con i vassoi pieni di biscotti. Entriamo scostando le tende dell’ingresso e il grande sorriso della signora Stefania e di suo marito Giuliano ci fa sentire subito a casa.

Le va di raccontarci la storia del luogo e ciò che ha significato per lei?

“Il locale lo ha aperto mio nonno paterno, più o meno nel 1940 o prima, e da allora è della mia famiglia. A quell’epoca nonno faceva una produzione totalmente diversa, in una situazione economica diversa: realizzava biscotti molto semplici, “biscottoni”, fette biscottate, cose “da famiglia” insomma. Faceva ad esempio “gli stampati”, con le rimanenze delle lavorazioni, o i “biscotti rotti”, che si potevano acquistare a un prezzo più basso. Faceva anche le gallette per le razioni di sopravvivenza dell’esercito, dei biscotti bucherellati e poco dolci… anzi, per niente dolci! All’inizio pensavo fosse una sua invenzione, ma ho scoperto che era tutto vero quando una signora entrò nel locale e mi disse che sua mamma aveva lavorato qui proprio facendo le gallette per l’esercito!

Poi mio nonno paterno iniziò a non stare bene (mio padre aveva fatto tutta un’altra carriera), così chiese a mio nonno materno, che era suo amico, di mandargli qualcuno per aiutarlo nel lavoro. Mio nonno materno, figuratevi, aveva nove figli: gli mandò mamma e altre sue sorelle. Le mie zie poi presero altre strade, ma mamma incontrò papà e si innamorarono: la sua carriera di capitano di lungo corso non era certo conciliabile con il forno e mia madre, che era bella tosta, lo fece scegliere. Come diceva lei, divenne “capitano di lungo forno”… questo che sta qui!”.

Nel locale c’è un bellissimo forno giallo del 1960, lungo 14 metri. Costò, all’epoca, quanto una casa e gli operai lo montarono direttamente dentro il locale. Il funzionamento è facilissimo: cinghie, rulli, ingrassatori. Fu un vero investimento, ma funziona ancora perfettamente! 
Gli fa compagnia una vecchia macchina azzurra che veniva usata per tritare le nocciole: purtroppo non si può più usare perché una parte è in legno ed è ormai obsoleta. Ma a Stefania piaceva e hanno deciso di tenerla. Tutte le altre macchine storiche oggi sono esposte in un museo di Verona. 

I tuoi genitori sono quindi cresciuti qui. Come prosegue la loro storia?

“Insieme alla loro storia d’amore crebbe anche la storia del biscottificio. Con l’avvento del benessere dovuto alla rinascita dopo la guerra e l’avvento della pasticceria, il biscottificio molto semplice di mio nonno divenne un luogo “al passo con i tempi”.
Mamma (classe 1933) è stata bravissima ad intuire lo scorrere del tempo, veramente un genio: è grazie a lei se abbiamo iniziato a fare il salato, che prima non si faceva, o la pasticceria un po’ più raffinata. Così abbiamo completato l’offerta”. 

Come si è evoluto il forno nel tempo?

“In realtà è cresciuto tutto un po’ inconsapevolmente, con l’entusiasmo di fare le cose. Mamma sapeva fare tutto, si inventava tutto! 
Io, poi, non sono mica pasticcera! Nonno era pasticcere, un toscanaccio molto particolare! Io ho imparato tutto qui. Però una cosa è importante, in tutti i campi: non bisogna mai sentirsi arrivati, altrimenti è finita! Qualsiasi persona ti sta accanto può insegnarti qualcosa, sempre, altrimenti non progredisci mai. Io ormai sto qui da 37, 38 anni e dal gennaio del 2003, da poco dopo che papà se ne è andato, è tutto sulle mie spalle”.

Mentre parliamo i clienti vanno e vengono: ordinano i panettoni, comprano i “soliti” biscotti con la ciliegia. Stefania parla con uno di loro: “Che vuoi i biscotti? Ma non lo so se me va di darteli oggi eh… Dai! Sto a scherza!”.

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Si respira un ambiente molto familiare qui. Siete riusciti a mantenere questo spirito nonostante vi troviate in un quartiere come Trastevere, che è diventato turistico.

“Questa è casa! Quando eravamo piccole io e le mie due sorelle venivamo qui a fare i pacchetti dei biscotti, li glassavamo con la cioccolata. 

Questa parte di Trastevere è un luogo particolare. È vero che è pieno di gente, ma tutti qui diventano famiglia. È come un piccolo paese nella città. Ci conosciamo, ci aiutiamo; qualsiasi cosa succeda ci mobilitiamo insieme, prendiamo la posta, i pacchi. Se non stai bene tutti si preoccupano e vogliono sapere come stai. E i nuovi del quartiere si adattano, che siano attori, cantanti, giornalisti. 

Adesso siamo su tantissime guide, è vero, ma prima non era così. Ricordo che una volta, quando ero piccola, mamma tornò a casa e fu festa perché eravamo stati segnalati nella guida Michelin. Voi siete giovani, ma allora c’era solo quella guida! Quando Mamma ha visto il nostro nome dentro è rimasta entusiasta.

 Da lì forse è anche iniziato il resto, non lo so…
La verità però è che le persone riconoscono la passione, l’impegno e la voglia di fare. Anche in questo periodo di Covid le persone si rendono conto che hai delle difficoltà e vengono anche se non hanno bisogno di nulla; tu senti che ti vogliono bene. È questo che ti fa andare avanti: è un momento brutto, ma ce la facciamo!”.

Stefania si commuove. Si percepisce che vive per i clienti e per il lavoro che fa e che porta avanti da tanti anni. Ormai è un simbolo per il quartiere.
Il Comune di Roma le ha dato anche il premio “Maestri dell’Artigianato”, riservato a chi dà lustro alla città di Roma. 

”Il biscottificio è un riferimento per questo quartiere: per qualsiasi cosa, tutti sanno che noi ci siamo. 
Io sono certa che chi viene qui trova il calore, l’affetto, la partecipazione. Però ce ne sono tanti di posti… Credo che bisogna trovare questo, ma anche la qualità dei prodotti”. 

Ecco, proprio sui prodotti, come è cambiata la produzione e che materie prime usate?

“Diciamo che la qualità è cresciuta. All’epoca di mio nonno il biologico non esisteva proprio. Adesso c’è una ricerca continua di ingredienti e abbiamo anche la fortuna di avere fornitori che ci seguono da tanti anni e sanno cosa chiediamo. 
Usiamo solo prodotti selezionati: le nocciole sono quelle del viterbese, le uova sono di un certo tipo, le farine sono solo biologiche, di due mulini diversi, il Mulino Marino e il Mulino Silvestri. 

 Poi non usiamo alcun tipo di semilavorato: la pasta di mandorle la facciamo noi. Vi racconto questa: una volta facevamo i Ricciarelli, ma ora non trovo più la ricetta; allora ho chiesto a qualche conoscente, ma usano tutti preparati e semilavorati… ora devo inventarmi qualcosa perché ci devo riprovare!”.

Ci fa assaggiare un biscotto di farro vegano: “Non c’è niente qua! Farina, olio, acqua. Ma… assaggiatelo! È buonissimo! Perché le farine sono buonissime! Certo… la variante al cioccolato fondente è ancora più buona!”.


Poi vediamo il torrone al cioccolato: “Questo è cioccolato fondente e gianduia mescolato, sciolto ad una certa temperatura”.
Come si fa? “Aggiungi le nocciole, giri, lo coli e lo fai freddare. Poi lo tagli…”.
Sembra facile a dirsi! “Oh, a me è venuto!”.

 Per alcuni prodotti usano la pasta madre e il sabato sfornano il pane, con un po’ di integrale. 
A Natale è il turno del panettone e a carnevale delle frappe. E tutto l’anno la Sacher, le torte di compleanno e la tipica crostata ricotta e visciole, che un cliente ci garantisce essere una vera garanzia!

“Noi possiamo vendere solo ciò che facciamo, siamo artigiani veri. Devo ammettere però che prima faccio tante prove”. E guardando il marito: “Quante cose cattive ti sei mangiato eh?”.
Così dalle prove, sono nati anche i “biscotti sbagliati”: volevano creare un biscotto con un impasto di frutta secca, ma non ci sono riusciti e così decisero di appiattire tutto e metterlo in forno. Piacque comunque (noi possiamo testimoniarlo!) e così iniziarono a venderlo.

Con Giuliano, che ormai è in pensione e ogni tanto aiuta Stefania, andiamo sul retro del locale. Ormai sono le 18:30, i due dipendenti sono già andati via. La signora delle pulizie ci saluta, ha appena finito. Nonostante il forno sia spento è ancora caldo (a 70°!) e in un vassoio le belle e carnose nocciole tonde aspettano di essere messe via. Giuliano ci mostra con gioia la pulizia e l’ordine che regnano dietro il loro lavoro quotidiano. 

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Sul muro campeggiano i volti di personaggi famosi che hanno visitato il negozio: Lando Fiorini, Marcello Mastroianni, Antonello Venditti. Venivano qui da voi?  

“Lando Fiorini era come un parente. Se penso a lui ancora mi commuovo; ci volevamo tanto bene. Però stava sempre a dieta! Una tragedia! Aveva il locale qui dietro, il Puff, che ha l’entrata secondaria qui fuori. Avevamo una tradizione: quando facevano le prove, prendevano sempre un nostro vassoio di biscotti e ogni anno, ad inizio stagione, stava qui con noi e chiacchieravamo. 

Anche Marcello Mastroianni, che ha abitato qui per tanti anni, veniva sempre, si sedeva là, sulla panca e chiacchierava con mamma. Era simpatico e per noi era come una persona di casa. 

 Qui Viene anche Antonello (ndr, Venditti) che… è romanista! Noi siamo una famiglia di tradizione laziale. A volte, prima delle partite della Roma, non entra neanche nel negozio; ma ci conosciamo da una vita e ci ridiamo su! Gli voglio bene!

Io ogni tanto ci penso! Se dovessi segnare tutte le persone che sono passate da qui, potrei scrivere un libro!”.

Sofia Loren girò un film proprio lì fuori; su una foto c’è la dedica di Albano e quella di Romina. E poi Lucio Dalla, Franco Califano, Elena Sofia Ricci, Carolina Crescentini, Enrico Lucci e tanti altri. 

Insomma, alla fine dell’intervista manca solo una foto: quella del nonno. 
“Ma è come se ci facessimo una foto io e lui (indica il marito) che ce la facciamo a fare?”
Le foto del nonno, di Stefania e di Giuliano non servono: il valore del calore domestico, quando è così intimo, non hai bisogno di farlo vedere a nessuno, lo senti e basta. Ed è così che ci sente nel Biscottificio, a casa.