Augusten Borroughs, “Correndo con le forbici in mano”

Questo titolo giaceva da lungo tempo nella mia lista delle letture desiderate. Tutto deriva dal fatto che ad un certo punto di un inatteso palinsesto televisivo, mi sono casualmente imbattuto nel film che nel 2006 hanno tratto dal testo. Ne rimasi stupefatto.

Ero giovane e vedevo in televisione una storia allucinata con un protagonista gay non tormentato per esserlo, né ridotto a sovracuti gridolini in stile “Will & Grace”. Scoprii che il film era tratto dal libro autobiografico di Augusten Borroughs, di cui andai immediatamente alla ricerca, salvo accorgermi che era introvabile - fuori stampa - fatto che aprì una stagione di chimerica ricerca del titolo in ogni libreria in cui entrassi, assicurandomi il momento di certa ricerca quando talvolta la poca fantasia, la carenza di ispirazione o semplicemente la sistematica uguaglianza fra loro delle proposte esposte dalle grandi catene mi offrivano sempre i soliti titoli.

Entrando in una nuova libreria mi chiedevo, ormai quasi più per abitudine, se fosse quella la volta buona, andavo a indagare la “B” molto più certo di rinnovare il fallimento piuttosto che di vincere la scommessa. La cosa è andata avanti per anni. Poi mi sono dimenticato di libro e film, finché qualche tempo fa ho scoperto della nuova edizione ad opera di minimum fax e tanto è bastato per rievocare i ricordi, fare l’acquisto e leggere.

Se incontraste qualcuno che vi raccontasse qualcosa di sé, della propria vita, avreste alcune possibilità di rimanere affascinati: la prima è quella di rimanere affascinati dal racconto in sé, di cui vi resterebbero suggestioni nella mente, ma non dalla persona - dal modo di raccontare - di cui dimentichereste anche il nome; la seconda è quella opposta di restare ammaliati dalla persona, dal suo modo istrionico di raccontare fatti anche banali, che se raccontaste ad altri perderebbero tutto il sapore derivante non dal loro valore ma da quello del loro primo narratore; la terza è quella felice di incontrare un ottimo narratore di esperienze formidabili.

Nel caso di “Correndo con le forbici in mano” ci si trova nel primo dei tre elencati. Augusten Borroughs ha certamente vissuto un’infanzia a dir poco fuori dall’ordinario che ha raccontato in questo libro che - egli specifica - non è un romanzo ma una vera e propria autobiografia in cui non ha inventato assolutamente niente. Voglio credere al povero Borroughs, il quale probabilmente vede nel fatto di essere sopravvissuto a queste esperienze drammatiche la legittimazione del proprio valore di scrittore. Se questo fosse vero, sarei perfettamente d’accordo con lui: mi darei anch’io forti pacche sulla spalla per essere diventato, nonostante tutto, una persona di un certo successo, un autore tradotto in molte lingue e il cui libro è stato trasformato in una pellicola hollywoodiana, prodotta da Brad Pitt e con un gran cast. Chapeau.

Questo, però, non fa di lui un grande scrittore, né di “Correndo con le forbici in mano” un bel libro. Tutta la mancanza di direzione dell’infanzia di Borroughs si traduce nella mancanza di direzione del testo. Vige il caos dove i singoli episodi divengono capitoli a sé, microcosmi quasi slegati, cronologicamente e logicamente, dai precedenti e dai successivi.

Lo stile, per quanto si possa chiamare stile la pedissequa narrazione degli eventi, è insipido. Non ci sono sperimentalismi, non ci sono novità, non ci sono grazie o raffinatezze, non c’è un delizioso gusto démodé, non c’è uno spiccato minimalismo, nemmeno un crudele ed asettico naturalismo ma solo la mistificazione della portata della propria scrittura in virtù di ciò che racconta. Non va molto bene, così.

La carriera scrittoria di Borroughs sembra essere un susseguirsi di libri autobiografici o pseudoautobiografici e quindi mi domando quanto sia lecito chiamarlo scrittore, nel senso di romanziere. Forse è piuttosto un giornalista? Un cronista? Un cronista della propria vita che - sfortuna-fortuna per lui - è stata tanto straordinaria. Il libro si legge in fretta e non sto dicendo che sia una lettura poco gradevole, anzi, è uno di quei libri “scorrevoli”, salvo precisare che non ho mai considerato tale aggettivo come un gran complimento. Ma “Correndo con le forbici in mano” è proprio scorrevole.

Racconta indecenze morali, traumi e psicosi con un vocabolario semplice, con un fraseggio banale, con una modalità piuttosto irrilevante. Borroughs è capace di disseminare pensieri ed osservazioni condivisibili, ma mai abbastanza forti e mai sufficientemente ben scritte da spalancare il testo alla buona letteratura. Quindi il libro scorre e scorrerà, passerà e poco ne rimarrà.