Roberto dell’Antica Caciara, l’ultimo pizzicarolo di Roma

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Tutte le sere, appena il negozio chiude, Roberto svuota il banco dove sono esposti i formaggi e lo pulisce a fondo. La mattina alle 5.00 torna, alza la serranda e rimette tutto in ordine per la nuova giornata: solo lui sa esattamente dove vanno i formaggi, gli stracchini, le ricotte, il pesto. 
Pronti per accogliere il sole trasteverino. 

Ci vuole raccontare la storia di questo negozio?
Questo negozio lo ha aperto mio nonno nel 1900, ma io ci lavoro dal ‘63, da cinquantotto anni… e ne ho settantuno! Purtroppo la storia non continuerà con i miei figli, ma l’Antica Caciara deve rimanere e rimarrà sempre la vecchia pizzicheria.

Come si è evoluto il mestiere del pizzicarolo?

Roberto ci mostra le foto sulle pareti, attraverso le quali si può ripercorrere la storia del negozio.

Vedi? Su quella foto dei primi del Novecento c’è scritto “pizzicheria”, perché si vendeva a pizzichi e non c’erano tante bilance. Su quella degli anni ’50 invece c’è scritto “salsamenteria”, quando i negozi iniziavano a vendere le salse, la conserva e tanti altri prodotti. Poi il negozio è stato sempre chiamato “Antica Caciara” perché qui, sul retro, si faceva il formaggio. Facevamo il pecorino e lo chiamavamo “cacio”: è per questo che si dice “cacio e pepe”. Non è il caciocavallo eh!.

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Dove si rifornisce?
Mi rifornisco direttamente alla fonte, non ho intermediari. Se non facessi così ,non potrei fare i prezzi onesti che faccio. I produttori provengono da tutta Italia: Piemonte, Toscana, Sicilia e ho anche tanti prodotti di Norcia. Da mio cugino, che è di Visso, prendo il salame piccante, la corallina e altre cose. Nelle etichette poi ho il coraggio di scrivere tutto quello che c’è: perché so che sono cose genuine.

Il Locale è inondato da profumi che non è più facile trovare altrove: profumi di pizzicheria. 
Il ragazzo che lavora qui ormai da sei anni, Andrea, ci spiega che ha iniziato a lavorare con Roberto: è stato lui ad insegnargli tutto, dalla A alla Z. A volte, quando gli chiedono che lavoro fa, risponde semplicemente “lavoro in un alimentari”, perché per alcuni è difficile capire cosa è il pizzicagnolo. Lui però, che si stente fortunato, è orgoglioso di difendere questo prezioso lavoro e di avere un mestiere in mano. 

Qual è una delle prelibatezze dell’Antica Caciara?
Sicuramente il pecorino. È come la Ferrari: non puoi avere una Cinquecento al posto della Ferrari. Quello che vendiamo noi è il vero pecorino romano, che in giro si trova poco. L’80% del pecorino sul mercato viene fatto in Sardegna. Non è cattivo, ma è una cosa diversa, perché dipende dal pascolo, dall’erba che hanno mangiato gli animali. Ad esempio, nel periodo estivo, quando gli animali sono al pascolo, il pecorino è migliore. Certo, se prendi un prodotto industriale, fatto con il latte importato, il sapore sarà diverso. Per farla breve, è come il Parmigiano di Reggio Emilia: possiamo farlo anche noi, ma avrà un altro sapore. Pensate che anche nello stesso posto: a 600m slm avrà un sapore ma a 1000m slm ne avrà un altro.

Anche i ristoranti che si riforniscono qui vengono principalmente per il pecorino. 
Cinque anni fa, una settimana prima del Primo Maggio, per onorare la tradizione delle fave con il pecorino, il Messaggero venne ad intervistare Roberto che gli raccontò la storia di questo formaggio. 

Già ne vendevo tanto prima… da quando hanno scritto quell’articolo ne vendo ancora di più! Successe anche con il cotechino: De Cataldo scrisse un articolo e il giorno dopo avevo finito i cotechini!.

Tutti gli articoli di cui ci parla (e che di lui parlano) sono esposti sulle pareti del negozio. E Roberto è orgogliosissimo di aver fatto il giro del mondo difendendo la tradizione. Sul muro dell’ingresso è esposta una sua intervista su una testata norvegese.

Pensavo fosse un’intervista come le altre, finché non mi è stato consegnato l’articolo proprio dall’ambasciata norvegese in Italia!.

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Ha notato un cambiamento nel commercio durante gli anni? Sente una nostalgia per il passato?
Sarò di parte, ma era bellissimo prima ed è bellissimo adesso. Credo dipenda molto da come uno si pone dietro al banco: io sto bene con tutti i livelli sociali, per me sono tutti uguali. Prima a Trastevere c’era il populino come noi, che trasmetteva quel calore umano; adesso il livello del quartiere è medio-alto, ma tutte le persone che vengono, appena arrivano, diventano come quelle di una volta. 

Come è cambiata Trastevere nel tempo?
Trastevere è bella! Io, come supero ponte Garibaldi, mi sento fuori paese! Chi parla male di Trastevere non ha capito niente. Qui trovi tutto, non stai in un dormitorio. Io ho la fortuna di abitarci. A dire la verità sono nato a quartiere Monti, e il negozio stava a Via dei Serpenti, però mi sento Trasteverino.

 Sulle pareti ci sono tantissime foto… ne ha di amici!
Sì. Le persone qui sono tutte educate e io tratto tutti come persone normali. Anche quando arrivano dei personaggi famosi, non bisogna fare sviolinate, vogliono essere trattati normalmente.

Roberto ci racconta che, poche sere prima, fuori dalla porta, facevano la fila per entrare Diodato e Ketama126: due generi musicali diversi! Andrea aggiunge che sono persone semplici, e così vengono trattate all’Antica Caciara.

Vengono De Cataldo, Susanna Tamaro, che è cresciuta con me. Ma anche Jhumpa Lahiri veniva qui spesso: io non sapevo fosse una scrittrice. Un giorno venne e mi disse: “Lo sai, ho scritto un articolo su di te”. Da quando ho deciso di esporlo è stata così contenta che è subentrata un’amicizia tra noi e ormai è una persona di famiglia.

Roberto però ci tiene a precisare che nel rapporto non bisogna mai andare oltre un certo livello.

Quello che conta è il rispetto tra le persone. La più grande soddisfazione per me è fare questo lavoro.  A casa vorrebbero che smettessi… ma è una vita che lavoro e l’unica cosa che dico sempre è: nun me levate sto giocattolo! È troppo bello. Vedi… voi siete venuti e mi ha fatto piacere, ma sono i risultati di una vita di lavoro che hanno portato qui anche voi. E allora vuol dire che qualcosa di buono c’è.

Salutiamo Roberto e, dopo il pomeriggio passato con lui, anche noi pensiamo che qualcosa di buono c’è: difendere le tradizioni e difendere un cibo etico che è, oggi, un atto politico.