Al limite. Possession e l’estetica dell’eccesso.

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Come introdurre un cult della levatura di Possession? (film del 1981 di Andrzej Zulawski).

Non mi si presenta nessuna soluzione che non implichi entrare in medias res in questo gioiello nero, fatto di diamante e sangue, del cinema d’autore horror. Potrei parlare di quanto è bella Isabelle Adjani, ma non basterebbero le parole, e comunque le immagini sono incredibilmente eloquenti. Così entriamo nell’inferno, ma senza accedere dai cancelli principali (attraverso i cliché delle storie d’amore che diventano dei carnai, o gli stessi cliché che rendono le pellicole horror tutte ruotare le solite e oramai prevedibili soluzioni narrative e registiche): ci entriamo in diagonale.

Il film si apre precisamente così, con un ingresso obliquo nel contorto mondo del protagonista, Mark (un giovanissimo Sam Neill) fatto di dinamiche familiari instabili (il matrimonio con Anna è in crisi a causa della sua perpetua assenza e da una relazione extraconiugale intrapresa da lei nei mesi della loro separazione) ma anche lavorative: infatti il Mark lavora per i servizi segreti in una Berlino Ovest in cui si respira l’aria gelida della Guerra fredda. I tagli delle inquadrature (persino delle architetture) sono tutti diagonali, instabili; cogliendo profili e movimenti di sbieco, da una cinepresa che sembra ballare una danza macabra. Siamo ancora lontani dagli anni di Dogma 95, eppure qui si sente già il rigore di un cinema che non intende sublimare niente. Possession infatti è l’apoteosi della crudezza, ma anche della nudità e della sua crudeltà, della sua oscenità.

L’atmosfera plumbea della Berlino anni Ottanta, questa città divisa (divisi scopriremo presto essere anche i protagonisti) assume ben presto tinte ancora più fosche dal momento in cui si accede all’orrore irrappresentabile sotteso alla rappresentazione di questo esasperato dramma sentimentale. Lui - come in tutte queste storie terribili di incomunicabilità - non capisce niente e vuole risolvere tutto con la sua buona volontà (ah!!); insomma, vorrebbe tenere saldo con le sue mani di uomo di azione e di lumi questo prisma eclettico che è Possession, che è al contempo magmatico e informe, plastico e sublime. Una presa insostenibile per Mark - le sue mani di Atlante sfortunato vorrebbero sostenere un mondo che sta velocemente crollando - ma anche per il regista: dal realismo crudo si passa senza soluzione di continuità all’immaginario surrealista memore dell’ala trasgressiva di Georges Bataille. Non è un’estetica del grottesco o del macabro quella che qui si presentifica: è qualcosa al contempo di peggiore e migliore (per noi, non certo per loro!).

Dunque, arriviamo al punto di non ritorno. La sofferenza di lei, l’inadeguatezza di lui, e un amante che suo malgrado fa riscoprire il piacere a Anna, giullare in questa storia di demoni e pazzi. Questo è il triangolo dell’infelicità, un triangolo isoscele che isola ed espone lei sulla punta aguzza di questa forma geometrica, minacciata da un pugnale invisibile. L’equilibrio psichico di lei infatti, già precario, si spezza, così come il suo corpo. In una celebra scena - fra le più sconvolgenti della storia del cinema - Adjani ci mostra la forza mistica di una recitazione sciamanica ed eccessiva, mentre concepisce in uno squallido corridoio della metropolitana un mostro informe, figlio bastardo nato dall’insostenibilità di una sofferenza che non ha né nome né identità. La creatura “lovecraftiana”, infatti, presto abiterà le stanze lugubri di una palazzina abbandonata e semi distrutta a Berlino Est - una sorta di rimosso della coscienza dell’Occidente come dei protagonisti. Ma il perturbante di questa vicenda non finisce qui: la realtà si è rotta, e adesso tutto può accadere. Una sfilata di doppi perturbanti e di visioni oniriche si sussegue in un turbillion di immagini eccessive e urlanti. L’abisso è qui, e il protagonista ci verrà trascinato da un ammaliante Isabelle Adjani che riesce ad essere bellissima anche quando si lascia andare ad un amplesso con il mostro - oramai cresciuto - che evoca gli scenari feticisti del tentacle porn e di chissà quali altri immaginari erotici al limite del disgusto.

Magnifico, non trovate?

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