Blosio Palladio, l'architetto e poeta inventore dei turundalia

Il termine latino turundalia fu coniato nel Cinquecento dal suo inventore: l'elegante e nobile poeta dell'Accademia Romana, Biagio Pallai (1476-1550), più noto con il nome "accademico" di Blosio Palladio. Esponente della Curia pontificia, iniziò la carriera ecclesiastica come scutifero apostolico e scrittore della curia durante il pontificato di Leone X per poi diventare segretario di Clemente VII e di Paolo III.

Verseggiatore scherzoso e autore non solo di un poemetto di 475 esametri che elogiava la villa commissionata a Baldassare Peruzzi dal banchiere senese Agostino Chigi sull'attuale via della Lungara, ma anche della raccolta di 400 poesie latine composte in gara da vari poeti in onore del grande mecenate tedesco Hans Goritz, detto Coricio, promotore delle adunanze letterarie presso la propria villa al Foro Traiano, il Blosio, originario della Sabina, fu onorato della cittadinanza romana nel 1516.

Affiancato poi dall'architetto Peruzzi, iniziava la progettazione della propria villa in mezzo ad un immenso hortus in località Valle dell'Inferno, oggi individuabile tra il Vaticano e Monte Mario come Monte Ciocci.

Con il drammatico Sacco di Roma del 1527, il Goritz prendeva la via della fuga verso le terre natìe trovando la morte a Verona, mentre a Roma i suoi beni materiali e la sua villa vennero saccheggiati dagli spagnoli. Il disastroso evento aveva così posto fine alle adunanze letterarie dell'Accademia Romana, che il Blosio riattivò, qualche tempo dopo, presso la propria dimora. Così, egli, per distinguere le proprie adunanze da quelle coriciane, si inventò il termine turundalia prendendo lo spunto da una pietanza che lui stesso aveva creato: la turunda.

Questa si costituiva di una focaccia a base di cereali, gli stessi che costituivano il cosiddetto "mangime per tordi", condita con la dolce grazia della poesia blosiana e che egli offriva per accogliere i suoi ospiti. Tale fu il successo di questa pietanza e di questo rituale che la turunda arrivò anche sulla tavola imbandita del pontefice, come una pietanza che non doveva mancare mai.

Nel 1538, Blosio Palladio firmava un testamento in cui avrebbe voluto che, dopo la sua morte, la sua eredità fosse devoluta all'Ospedale di San Giacomo degli Incurabili e all'Orfanotrofio di Santa Maria in Aquiro. Nel 1547 rinunciava alla nomina di Vescovo di Foligno e nel 1550 la sua salma veniva accolta nella navata centrale della chiesa in un elegante monumento dove il timpano ospita il busto di Blosio Palladio con il nobile volto barbuto e la scritta:

Blosio Palladio Sabino/

Proesidi Fulginati Clementis VII/

Pauli III, Iulii III Pont. A/

Secretis viro in omni vita/

probatissimo incurabilium/

orphanorumque socii heredes/

posuere MDL

Nel 1938 la sua villa fu parzialmente demolita per gli sterri del Monte Ciocci e rimaneggiata negli anni seguenti. Nel 1955 il Comune di Roma istituì una strada nel quartiere monteverdino dei Colli Portuensi a sua memoria in qualità di benefattore.

La villa di Blosio Palladio prima del restauro che l’ha completamente trasformata.

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