Piskv, il re degli street artist: “La corona è un omaggio a Basquiat”

Se sui muri dei palazzi o nei murales per strada trovate una corona, quello è il simbolo di Piskv: il re degli street artist. Pugliese d’origine, ma romano d’adozione, Francesco Persichella è un giovane artista che sta trovando sempre più spazio nella scena italiana. E per individuare il motivo del successo basta osservare uno dei suoi lavori. I colori vivaci, l’energia dei disegni, la profondità della prospettiva e le spesse linee nere di contorno che risaltano la figura. Forza, grandezza e luminosità sono la firma, la mano, il tocco di un artista diventato re.

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Piskv, perché usi la corona nei tuoi murales?

È un tributo a Jean-Michel Basquiat, un artista da cui traggo ispirazione. Lui usava la corona nei quadri e io l’ho ripresa come icona, come anche tanti altri.

Come nasce il tuo nome d’arte?

È una sorta di storpiatura dialettale del mio cognome. Una contrazione nata un po’ per caso durante una partita di calcetto, quando un ragazzo che non mi conosceva mi ha chiamato “piscu”. Io l’ho graficizzato sostituendo alla “c” la “k” e alla “u” la “v”, perché mi piaceva la “v” romana. Un tributo a Roma, che è una città che ho apprezzato e amato sin da bambino.

Quando hai deciso di usare le bombolette?

Ho iniziato a lavorare per strada, nel contesto urbano, sin dagli anni del liceo, quando nel mio paese di origine, Canosa di Puglia, dipingevo per strada all’interno di eventi, live painting. Nasco come un pittore autodidatta. Quando poi, nel 2011, mi sono trasferito a Roma ho conosciuto altri artisti che lavoravano per strada: chi faceva graffiti, chi street art. Mi sono unito a un collettivo di artisti, write Wars, e ho iniziato a fare i primi murales. 

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Cosa distingue uno street artist da uno che fa tag?

Più che differenze sono aspetti che ci accomunano. Semplicemente ogni artista porta avanti una propria ricerca. Il fatto di spingerla all’estremo è ciò che è più affascinante. Che sia ripetizione di una tag, una scritta, un graffito o un disegno figurativo è uguale. Anche se, un’arte, all’occhio del pubblico può essere più accettata dell’altra. Ma ogni forma d’arte, se ben fatta ed ha dietro una ricerca artistica studiata, è da apprezzare.


Con quali colori preferisci lavorare?

Mi piace molto lavorare con i neri. Diverse gradazioni di blu, turchese, giallo, arancione. Sono i colori che utilizzo di più. Forse il nero è il colore che mi piace di più. La mia ricerca artistica verte sul mix dei colori, sugli accostamenti e sui contrasti. Ed è per questo la mia produzione è molto eterogenea dal punto di vista dei colori. Non mi fisso mai su una tonalità, semmai ho periodi in cui mi concentro più su uno. 

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Non hai paura di rimanere intossicato dalle bombolette?
No, perché utilizzo le precauzioni con maschere adeguate che filtrano le particelle tossiche. Quando posso, utilizzo i colori ad acqua così che siano meno nocivi per me e l’ambiente.

Come trovi i posti dove realizzare le tue opere? E per le autorizzazioni?

Possono essere luoghi privati o pubblici. E in quest’ultimo caso prima mi accerto sempre che ci siano le autorizzazioni. La mia arte, nell’essere veloce, è lenta. Non riesco a concluderla in pochi minuti. E per questo non voglio lavorare nell’ombra.

Qual è l’opera più difficile che hai realizzato?

Il campo per la Red Bull a San Lorenzo. Sia per la gestione di un’opera così grande e sia per l’organizzazione del lavoro degli altri ragazzi che mi hanno aiutato. È una superficie di oltre 800 metri quadri. Opera complessa. Anche se, le difficoltà maggiori, sono sempre in fase di progettazione.

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La tua prima opera?

Un murales realizzato su commissione all’interno di un club nel mio paese . Era una parete piena di cantanti. Era un locale dove si faceva musica. Era una wall of fame. Mentre la prima opera su strada è stata un murales realizzato a Roma in via Assisi, ma non credo esista più. Era sulla copertura di un tetto di una galleria d’arte: era la rappresentazione di un ghepardo.

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Hai dipinto tanti attori, cantanti e sportivi. Cosa li accomuna a te?

Una forte passione per la cultura pop. Mi piacciono i film, lo sport e la musica. Per questo mi piace tributare a cantanti e sportivi qualcosa. Quelli che ho realizzato sono per personaggi che stimavo. Da ultimo quello per Kobe Bryant. Era un omaggio che dovevo: un omaggio personale e che Roma meritava.

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A quale giocatore ti sei ispirato per il murales di San Lorenzo?

A nessuno in particolare. Ho scelto la schiacciata e l’ho inserita nella planimetria del Colosseo. È un po’ un mix di tanti, un giocatore un po’ vintage, alla Harlem Globetrotter, d’altri tempi. Mi fa piacere che la mia arte venga apprezzata e restituisca qualcosa alla comunità.