L'Oche E Li Galli

 
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L'Oche e li Galli è un sonetto composto dal Belli nel 1831 e si ispira alla leggenda sorta da un evento veramente accaduto nella storia di Roma. Si tratta dell'assedio della città da parte dei Galli avvenuto il 3 agosto del 390 a.C. in cui, oltre ai quiriti che combatterono i barbari "francesi", vi parteciparono anche le oche. Fu un evento così straordinario e unico in tutta la storia dell'umanità da divenire una leggenda e da voler essere tramandato, attraverso il linguaggio verace del poeta romanesco, da Giuseppe Gioachino Belli.

Ar tempo de l'antichi, in Campidojjo,
Dove che vvedi tanti piedestalli,
Quell'ommini vestiti rossi e ggialli
C'ingrassaveno l'oche cor trifojjo.
Ecchete che 'na notte scerti galli
Viengheno pe ddà a Rroma un gran cordojjo:
Ma ll'oche je sce messeno uno scojjo,
Che svejjorno un scozzone de cavalli.

Quell'omo, usscito co la rete in testa
E le mutanne sole in ne le scianche,
Cacciò li galli e jje tajjò la cresta.
Pe cquesto caso fu che a ste pollanche
Er gran Zenato je mutò la vesta,
Ch'ereno nere, e vvorze falle bbianche.

 
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L'intervento delle oche nell'assedio ha una sua ragione d'essere perchè il fatto avvenne sul Campidoglio. Infatti, il Monte Capitolino, pur essendo poco elevato rispetto agli altri sei colli di Roma, fu il più importante perché abitato fin dall'età del bronzo e successivamente eletto luogo di rappresentanza del potere di Roma. Qui sorsero l'auguraculum (recinto sacro da cui si prendevano gli auspici) e numerosi templi di divinità, tra cui quello dedicato alla cosiddetta triade capitolina: Giove, Giunone e Minerva. La dea Giunone, in particolare, considerata la Regina degli dèi nell'Eneide virgiliana, simbolo della monogamia e della fedeltà nelle Metamorfosi ovidiane, era la dea custode di Roma, a cui era stato dedicato il mese di Giugno e a cui erano sacre le oche, in quanto animali monogami e fedeli. L'iconografia classica della dea, infatti, è caratterizzata da un'oca al suo fianco, come nella fontana omonima realizzata dallo scultore ticinese Domenico Fontana per arredare Via delle Quattro Fontane.

Il tempio di Giunone, dunque, era abitato da numerose specie di oca, proprio in virtù della sacralità che questi animali avevano assunto in onore alla dea Giunone. Così, nel giorno dell'assedio dei Galli, l'esercito quirite, provato dall'impossibilità di approvvigionarsi di acqua in quanto il nemico distrusse gli acquedotti che rifornivano la città, e spinto dai morsi della fame, non osò incorrere in un sacrilegio e lasciò libere le oche sacre a Giunone. Questi animali palmipedi appartenenti alla famiglia degli Anatidi, sono naturalmente inclini ad affezionarsi all'uomo e lo difendono attaccando e starnazzando nel caso un estraneo entrasse nel suo territorio in loro presenza. E così accadde il giorno dell'assedio: le oche avvertirono uno strano rumore e iniziarono tanto a starnazzare “che svejorno un scozzone de cavalli./Quell'omo usscito co la rete in testa/e le mutanne sole in ne le scianche/ cacciò li galli e je tajò la cresta” come narra il Belli.

Questa storia ispirò anche il celeberrimo autore di testi musicali Visevi, pseudonimo del professore Vittorio Sessa Vitali, scomparso nel natale del 2016, che si avvalse della collaborazione del compositore genovese Augusto Martelli (1940-2014) per una canzone dal titolo Le oche del Campidoglio. Iscritta tra le canzoni in gara nella canora 43° edizione dello Zecchino d'Oro, presentato dalla star della tv Cristina D'Avena nell'anno giubilare del nuovo millennio e interpretato dai bambini Linda Gnoato e Davide Marrese, ebbe un discreto successo, ma la leggenda delle Oche del Campidoglio è un vero e proprio patrimonio del popolo romano e contribuì a fare entrare nel mito questo genere di uccelli considerato oggi proverbialmente sinonimo della stupidità umana.

 
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