“ROMA, REPUBBLICA,VENITE!”: il Museo della Repubblica Romana al Gianicolo

L’Italia fu fatta il 17 marzo del 1861. Con la proclamazione ufficiale del Regno d’Italia, da espressione geografica si tramutò in entità politico-territoriale, facendo finalmente la sua comparsa sulle carte d’Europa.

Rimaneva l’impresa più ardua, “fare gli italiani”, costruire dalle fondamenta l’identità di un popolo mai prima d’ora riunito sotto la stessa bandiera e più che altro abituato a percepire la propria appartenenza come ristretta ai ridotti confini di uno stato regionale, quando non alla rassicurante ombra del campanile di paese. Quando Massimo D’Azeglio pronunciò la sua celebre frase, molto probabilmente era perfettamente consapevole del fatto che per “fare gli italiani” non sarebbe bastato lo spazio di una vita. Quello per cui la classe dirigente protagonista del Risorgimento, una volta salita al potere, poteva adoperarsi, era semmai fissare dei valori culturali, dei principi politici e morali e una mitologia comune intorno alla quale costruire il discorso identitario della nazione italiana. Ma l’adesione del popolo a questi concetti si sarebbe poi dovuta realizzare con un lento e lungo processo di interiorizzazione, trasmissione e soprattutto continuo rinfocolamento attraverso lo scorrere delle generazioni. In buona sostanza, “fare gli italiani” si proponeva come una missione necessariamente aperta verso il futuro, ripetibile e rinnovabile attraverso gli sforzi delle istituzioni culturali pubbliche preposte all’educazione dei cittadini che si andavano pure fondando col sorgere del nuovo stato.

Se non si pensa a questa necessità continua, ieri come oggi, di vivificare e rinsaldare l’identità nazionale di un popolo intero, non si capisce fino in fondo il portato culturale di un’operazione come quella che nel 2011, in occasione delle celebrazioni per il centocinquantenario dell’Unità d’Italia, ha portato alla fondazione del Museo della Repubblica Romana e della Memoria Garibaldina sul Gianicolo. La missione del museo è molto semplice: conservare la memoria di uno degli episodi del Risorgimento Italiano più sensazionali per eroismo militare, maturità ideologica e sperimentalismo politico-istituzionale: la brevissima ma splendente parabola della Repubblica Romana del 1849, che proprio sul colle del Gianicolo, dopo mesi di valorosa resistenza, fu infine spezzata.

Il museo sorge all’interno della Porta San Pancrazio, quella stessa porta che l’esercito della Repubblica strenuamente difese dall’aprile al luglio del 1849 contro la brutale offensiva delle truppe francesi del generale Oudinot, giunte a Roma lungo l’Aurelia per restituire al Pontefice della Santa Romana Chiesa quanto gli era stato tolto, il dominio temporale sulla Città Eterna. L’immersione nell’atmosfera e negli eroici avvenimenti del fatidico anno inizia dunque sin dall’esterno, da un contenitore che è esso stesso parte attiva del percorso della memoria.

Il cammino all’interno del museo è inaugurato invece da una sala dedicata allo scenario internazionale del 1848, l’anno in cui in tutta Europa si infiammarono violentemente moti insurrezionali contro l’ordine costituito. Nell’Italia frazionata in otto diverse entità territoriali, controllate direttamente o indirettamente da potenze straniere, serpeggiava ormai inarrestabile il sogno dell’Unificazione. La prima città a alzare le barricate nel gennaio del ’48, ribellandosi al dominio borbonico, fu Palermo. In febbraio, costituzioni di stampo liberale furono concesse dai regnanti stranieri sia a Napoli che in Toscana. A marzo, a Milano, iniziarono le celeberrime Cinque Giornate, che portarono alla cacciata dalla città delle truppe asburgiche. Il re di Sardegna Carlo Alberto approfittò del clima favorevole e dichiarò guerra all’Austria, dando inizio alla Prima guerra d’Indipendenza Italiana. Ma Custoza prima e Novara poi fecero capire che l’avventura era appena cominciata, e che la vittoria era ancora ben lungi da venire.

Mentre al nord si combatteva, Roma non poteva certo restare a guardare. La seconda sala del museo restringe il suo focus sulla scena della Città Eterna. Qui nel 1846 era stato eletto pontefice Giovanni Maria Mastai Ferretti, alias Pio IX, la cui ascesa al soglio di Pietro aveva animato di entusiasmo i romani che auspicavano una patria unita, magari proprio sotto l’egida del Pontefice Romano. Il Mastai era infatti un papa di simpatie liberali, che tra le prime misure adottate aveva concesso un’amnistia ai prigionieri politici e abolito la censura, e che addirittura nel febbraio del ’48, mentre nella penisola dappertutto si protestava o combatteva per le strade, invocò la benedizione di Dio sull’Italia intera. Allo scoppio della Guerra d’Indipendenza, inviò persino un contingente militare verso le terre contese del Lombardo Veneto. Ma presto tornò sui suoi passi. Il 29 aprile del ’48, con un’infame allocuzione, dichiarò l’impossibilità per lo Stato della Chiesa di muovere guerra contro un’altra potenza cattolica. Le truppe pontificie tornarono a casa nello scorno generale dei cittadini romani. Ma ormai era troppo tardi, la fiamma patriottica era stata accesa e non poteva fare a meno di bruciare. A novembre, un malcontento popolare ormai arrivato allo stremo trovò sfogo nella uccisione del primo ministro del Papa, Pellegrino Rossi, individuato come figura simbolica della nuova stagione di conservatorismo politico iniziata dal pontefice. Pio IX non trovò soluzione migliore che un “allontanamento temporaneo” da Roma: in realtà una vera e propria fuga con destinazione Gaeta, la prima città dopo il confine col Regno delle Due Sicilie, dritto tra le braccia del re cattolico Ferdinando II di Borbone. Nel percorso museale, il precipitare degli eventi di quei fatidici mesi è narrato in un video dalla viva voce di Angelo Brunetti, meglio conosciuto come Ciceruacchio, interpretato da Massimo Wertmuller. Carrettiere del porto di Ripetta e capopopolo romano, Ciceruacchio trovò la propria morte dopo la fine della Repubblica, mentre fuggiva da Roma, sul delta del Po, dove venne fucilato da guardie asburgiche insieme ai figli adolescenti.

I Romani, oltraggiati dalla fuga del papa-re, si misero presto a lavoro per dare a Roma un nuovo ordinamento politico. Il 21 gennaio del ’49 le prime elezioni a suffragio universale maschile mai indette in Italia andarono a formare i ranghi di un’Assemblea Costituente incaricata di redigere il documento fondativo del nuovo stato, la Repubblica Romana, proclamata ufficialmente il 9 febbraio del 1849. Il potere esecutivo veniva affidato a un Triumvirato costituito da Aurelio Saffi, Giuseppe Armellini e Giuseppe Mazzini, quest’ultimo informato degli eventi romani da Goffredo Mameli col memorabile telegramma “Roma, Repubblica, venite!”, che dà anche il nome alla terza sala del museo.

Se Mazzini fu l’ideologo della Repubblica Romana, l’altro grande eroe del nostro Risorgimento, Giuseppe Garibaldi, fu il suo braccio armato. Fu presto chiaro infatti che la neonata Repubblica non avrebbe avuto vita facile e anzi si sarebbe dovuta difendere con le armi e con i denti. Pio IX dal suo esilio invocò il soccorso delle potenze europee di fede cattolica. Rispose la Francia, paradossalmente l’unica altra Repubblica esistente sullo scacchiere internazionale in quel frangente storico. Fu allora che mentre i padri Costituenti in Campidoglio si affannavano a stendere un documento fondativo per il nuovo stato, ironicamente ispirato a quei principi di uguaglianza e fraternità per la prima volta venuti a galla proprio in Francia nel 1789, la storia della Repubblica Romana si tramutò in una storia di eroismo, di strenua resistenza e infine di sacrificio in nome dell’ideale della libertà. Dal 30 aprile al 30 giugno del ’49, il Gianicolo divenne il campo di battaglia dove si giocò la partita per il destino di Roma e in parte, del Risorgimento italiano tutto. Il variegatissimo esercito della Repubblica, formato dalle audaci giubbe rosse garibaldine, da sezioni dell’esercito regolare sabaudo accorse nella Città Eterna come i Lancieri della Morte di Masina, da squadroni di volontari come quello degli studenti dell’Università La Sapienza di Roma, si battè con onore, riuscendo in un primo momento persino a respingere l’offensiva francese. All’interno del Museo, l’epopea militare consumatasi tra le ville e i giardini davanti a Porta San Pancrazio viene rivissuta grazie a un video immersivo e a un plastico illuminato da giochi di luce.

Contro la forza di fuoco dispiegata dai cannoni francesi nella seconda offensiva, iniziata a sorpresa la notte del 3 giugno ’49, non ci fu però nulla da fare. Nella rovente estate romana, all’ombra dei pini del Gianicolo, trovarono la morte molti giovanissimi patrioti, che il museo ricorda sotto l’evocativa sigla di “Eroi a vent’anni”. Sono loro stessi, Luciano Manara, Goffredo Mameli, Andrea Aguyar a prendere parola nell’omonima sala, grazie alle performances attoriali e strumento multimediale già usato nel caso di Ciceruacchio, che si rivela ancora una volta vincente per coinvolgere emozionalmente lo spettatore di fronte al drammatico macello di una generazione.

Eppure, tutto quel sangue versato diede per lo meno un frutto, il tempo; il tempo utile all’Assemblea Costituente per terminare la stesura della Costituzione della Repubblica Romana. Non è un caso che all’interno del Museo la sala della Costituzione sia posta accanto all’impressionante lista dei nomi dei circa 1400 uomini e donne caduti nei combattimenti sul Gianicolo. Dal sangue all’inchiostro, ecco 69 articoli, preceduti da 8 Principi fondamentali che parlano di sovranità popolare, libertà e uguaglianza di diritto di tutti i cittadini, laicità dello stato, libera chiesa in libero stato, abolizione della pena di morte. Una Costituzione che non entrò mai davvero in vigore (poiché fu promulgata il 3 luglio 1849, quando i francesi erano ormai entrati all’interno delle mura) ma che depositò un seme altissimo di civiltà, destinato a germogliare nel tempo oltre l’Unità d’Italia, fino al passato più recente e a una nuova Costituzione, quella del 1948, che da quella trasse ispirazione a piene mani. Per ricordarci, una volta per tutte, che tutto ciò che noi oggi consideriamo diritto inalienabile nella nostra vita, fu conquistato con il sacrificio e il sangue di molti, che alla vita stessa, per amore di un’idea, dovettero rinunciarci.