Manuel Puig, “Una frase, un rigo appena”

Così come “Il bacio della donna ragno”, opera celebre di Manuel Puig (catalano di origine, perciò leggasi Puʤ con la g morbida di “giorno”, come mi è stato intimato da orgogliosi catalani), fa di un profondo amore per l’arte cinematografica uno dei suoi punti di forza, questo libro mette a frutto un parallelo amore, non per il cinema - o almeno non solo -, ma soprattutto per il tango.

“Boquitas pintadas”, titolo originale, è infatti una citazione da “Rubias de New York”, un tango di Carlos Gardel; gli editori italiani hanno cercato di mantenere questo sapore di musica traducendo il titolo in “Una frase, un rigo appena”, citazione da un altro tango, “Scrivimi” di Carlo Buti (certo, una nota del traduttore o dell’editore, o una quarta di copertina un po’ più sviluppata sarebbero bastate a spiegarlo e avrebbero potuto far gustare il tocco speziato). Inoltre, ogni capitolo ha un piccolo esergo con una citazione da tanghi o da milonghe.

Il parallelismo col tango però non si ferma alla mera citazione pedissequa. “Una frase, un rigo appena” infatti è un libro che narra, così come i tanghi, del gioco della seduzione, dei legami di amore o della passione di una sola notte, e mette in scena l’erotismo latente di pressoché ogni singolo essere umano, matrice vivificatrice di questa storia.

Il titolo scelto dall’edizione italiana allude, però, anche alla forma che Puig ha scelto di dare al libro, una forma rimarchevole. Manuel Puig ha il talento sfolgorante del narrare: sarà capitato a chiunque di aver ascoltato qualcuno raccontare ad una terza persona la trama di un film, ad esempio. Quante volte è successo di trovare il narratore noioso, quante volte si è sentito l’impulso di intervenire, talvolta per amor di correttezza, perché il disattento stava sbagliando qualche particolare dell’intreccio, altre volte, invece, proprio per amore dell’arte, perché ci si accorgeva che il racconto malconcio dava solo una pallida idea dello splendore del film, anzi!, quasi lo faceva sembrare brutto? Così, magari, si è interrotto il narratore e si è cercato di aggiustare il racconto per riuscire nell’intento di far dire alla terza persona: «mi hai convinto, lo guarderò!»

Ecco, Manuel Puig è così abile da non limitarsi a raccontare la trama di un film, ma lo descrive in alcuni sceltissimi dettagli, tutti significativi, e scrivendo riesce a mostrare quel che non stiamo guardando. Questo procedimento, distillato ne “Il bacio della donna ragno”, in “Boquitas pintadas” prende la via del virtuosismo. Anche in questo caso, infatti, non mancano le descrizioni di pellicole cinematografiche, ma Puig applica giocosamente la propria maestria narrativa non solo ai film. Il libro si apre, ad esempio, con una serie di lettere, di cui non sono riportate le risposte; leggiamo le lettere e incontriamo una storia romantica. Poi però, alla fine di ciascuna lettera appare una didascalia che spiega, amplia le lettere, soprattutto - proprio come le didascalie teatrali danno all’attore indicazioni sull’interpretazione del testo - esse danno a noi lettori la chiave per leggere le lettere appena lette! Il divertissement svelato di Puig, che d’altra parte è stato anche drammaturgo, imprime un sorriso sulle labbra e fa nascere la tentazione - alla quale si può cedere - di tornare indietro e leggere da capo.

Proseguendo nella lettura capiamo che la vicenda del protagonista, il bello e ignorantissimo Juan Carlos, deliziosamente prodigo di errori ortografici, ci viene raccontata perlopiù indirettamente, non solo dalle lettere appena citate delle donne che lo hanno amato, ma anche da pagine di diari, da necrologi, da verbali di polizia, da confessioni a sacerdoti, da flussi di coscienza, da ritagli di giornale, persino da luoghi - che Puig descrive come se fossero personaggi, quasi avesse una macchina da presa in spalla e facesse parlare i comodini, gli armadi, le finestre -, insomma, da ogni mezzo canonico o insolito che possa essere sfruttato per narrare i vari frammenti di una storia, fino ad arrivare a quello che per me è il vertice del talento di Puig: la narrazione della vicenda attraverso un album di fotografie. Nota bene, il libro è privo di illustrazioni, ma Puig immagina un album fotografico, lo sfoglia e ne descrive il contenuto: attraverso tali descrizioni noi vediamo - non leggiamo - la storia dipanarsi sotto ai nostri occhi. Si rimane sbalorditi dal talento di Puig nel raccontare le trame dei film, ma bisogna andare in cerca di superlativi quando ci si rende conto che egli è capace di fornire la stessa eloquenza persino ad un immaginario album fotografico.

Devo ora citare l’ultimo addendo di questi grandi valori: i capitoli sono chiamati “puntate”.
Adesso posso provare a fare la somma.
“Una frase, un rigo appena” è un libro che travalica l’atto di leggere e che somiglia quasi ad un radioprogramma, come lo sceneggiato di cui due delle donne toccate da Juan Carlos, Mabel e Nené, ascoltano insieme una puntata - appunto - in una scena esilarante, traboccante velenosità.
Potrebbe essere in effetti un libro da leggere ad alta voce, o da ascoltare dalle boquitas di qualcun altro, per godere di tutta la sua forza narratrice, così potente in Puig da trasformare l’azione di leggere in quella di vedere.

L’augurio, infine, è quello di leggere questo libro accompagnato dall’ascolto di qualche bel tango, magari partendo proprio da “Rubias de New York” e da “Scrivimi”. Buon ascolto.