Lucia Pietroiusti: "Sun&Sea riflette sull'impossibilità di replicare tutto e sull'utopia della soluzione tecnologica"

Nessun applauso. Così finisce l’opera-performance Sun&Sea, di cui Lucia Pietroiusti è la curatrice. Ma non perché il pubblico non voglia, il motivo è che “il lavoro è stato pensato come continuativo”, spiega Pietroiusti. “Il pubblico entra e esce quando vuole”. Ma questo aspetto è stato “reso impossibile dal Covid e dalla questione biglietti”. A Venezia, però, dove lo spettacolo ha vinto il Leone d’Oro alla 58a Biennale, “durava 8 ore”, racconta la curatrice che vive a Londra e lavora alla Serpentine Gallery, uno dei più noti musei della capitale britannica. La raggiungiamo al telefono dopo aver visto Sun&Sea al Teatro Argentina. E che ora è pronto a fare il giro del mondo con un tour di tre anni.

Quali reazioni ha avuto il pubblico vedendo Sun&Sea?

È difficile immaginare cosa accade nella mente del pubblico. Quando l'abbiamo presentato a Venezia, abbiamo visto molte persone uscire in lacrime. Questo lavoro riflette sulla nostra incapacità di concepire la catastrofe climatica. I corpi stanchi umani riflettono il corpo stanco della Terra. Durante la performance tutta la spiaggia si rende conto dell'acidificazione dell'Oceano, dell'ansia del global warming o delle buste di plastica che galleggiano in acqua.

L’opera si chiama Sun&Sea. Però non c’è né sole né mare. È tutto artificiale.

Ricordo che a marzo del 2020, mentre la pandemia era acuta e si sentivano notizie drammatiche in Italia, avevamo portato lo spettacolo a Bergen, dove gli attori italiani non potevano venire. Lì mi sono resa conto dell'artificialità della messinscena, che portiamo il fuori dentro. Trasformiamo tutte le nostre esperienze in esperienze interne. Mi piace pensare a questo lavoro come un’opera che assorbe e contagia gli spazi in cui si svolge. 

L’opera-performance riflette sul global warming. Ma cosa rispondi a chi critica che c’è un importante costo nel trasportare la sabbia?

Il budget è grande rispetto a performance di arti visive, ma non rispetto a uno spettacolo di danza. La domanda ci porta a riflettere sulla responsabilità. Noi, essendo vivi, partecipando al riscaldamento globale. Siamo responsabili senza essere colpevoli. È impossibile uscire dal senso di responsabilità. Per questo a Venezia abbiamo cercato di lavorare sul territorio. Abbiamo fatto fare lo screen printing del catalogo alla cooperativa dei carcerati della prigione di Venezia e abbiamo lavorato con la città di Venezia per trasportare la sabbia in varie aree giochi per bambini. Curare la terra dove uno cammina è un lavoro che si può fare anche durante gli spettacoli.

Questo spettacolo permette anche di rispettare le norme di distanziamento.

Questo è un aspetto che dà valore al teatro di Roma che ci è riuscito ad invitare. Anche se l'invito era arrivato prima della pandemia. Ma l'avremmo presentato lo stesso e, molto probabilmente, nello stesso modo. La pandemia ha inciso, però, molto sulla tournée. 

Ogni colore e situazione sembra abbinata durante l’opera-performance.

Questo lavoro è il prodotto di una collaborazione di tre artiste che operano in settori diversi. Lina Lapelytė, regista di film di teatro, Vaiva Grainytė, poetessa e scrittrice, Rugilė Barzdžiukaitė, artista visiva. Rugilė ha una certa estetica specifica come regista. Per lei era importante mantenere una uniformità di toni, soprattutto nei costumi e negli asciugamani, a cui lei porta moltissima attenzione. Dal punto di vista della relazione tra gli individui, i personaggi sono stati scritti e adattati durante il casting. Vaiva ci ha raccontato che, durante il periodo di casting, cercavano famiglie che cantassero insieme. E sono arrivate queste due gemelle con una voce particolare, molto gutturale, adatta al pubblico. E, in quello stesso periodo, le artiste discutevano delle protesi coralline stampate in 3D. Allora a Vaiva è venuto in mente, incontrando quelle due gemelle, che una era stata stampata in 3D. Da lì nasce la canzone 3D Sister Song in cui la madre di una delle due dimentica di spengere la stampante che così ne stampa un'altra. È una canzone sulla follia della soluzione tecnologica.

Anche una spiaggia non è replicabile, però voi riuscite a portarla ovunque. C’è già una riflessione dell’impossibilità di ricreare tutto nello spettacolo stesso?  

C'è sicuramente un aspetto assurdo e straniante nell'artificialità della messinscena. Nella giustapposizione di quello che ci appare come una giornata qualunque, come una giornata in spiaggia, e l'artificialità di portare la spiaggia in uno spazio interno.