LA STORIA DI IVO - L'amico Morfeo - Parte quinta

A metà strada tra infanzia e età adulta Ivo rimane impigliato in un sogno. Un sogno? Ma come è possibile? Sì, proprio un sogno. E come va a finire?


Ovviamente non ricordava quale era stato il suo primo sogno. Chissà quale immagine si sarà per la prima volta affacciata alla sua mente di piccolo cucciolo come tenue riflesso della propria inconsapevole presenza nel mondo. Chissà quante volte Ivo avrà, sognando, atteggiato il visino alla gioia o allo sgomento o avrà anche pianto per la sua irruzione in un mondo ancora più misterioso e sconosciuto di quello in cui era appena entrato nascendo e a mala pena sentiva muoversi intorno a sé.

Tutte cose ormai dimenticate anche se conservava nel profondo della propria memoria qualche sogno di quando era bambino e, in una caotica manipolazione di immagini e sensazioni, era spinto raffigurare quel passato in modo da renderlo coerente con il suo presente. Perché c’era in lui un incontenibile bisogno di restare armoniosamente connesso alla propria preistoria garantendo così a tutto ciò che era poi accaduto la solidità di un progetto piantato su profonde radici.

Tra questi suoi sogni di bambino ce ne era uno che Ivo custodiva con cura, un sogno che invece che sbiadirsi si era andato sempre più definendo, divenendo una specie di frammento del presente, una veloce introduzione alle molte e più durature espressioni che la sua vita aveva poi assunto. Un sogno in cui le cose più usuali si manifestavano in modo meraviglioso trasfigurando la normalità in una dimensione irreale. Qualcosa che non importa qui raccontare perché il suo senso più vero stava non in ciò che ne proveniva ma nella primogenitura che lì poteva essere vantata nei confronti dell’affollata presenza di sogni che nel tempo avrebbero popolato le sue notti.    

Ivo lo custodiva con cura dentro di sé e, addormentandosi, rimaneva in attesa che tornasse ad occupare il suo sonno. E ogni tanto il sogno   effettivamente si riaffacciava, a volte aggiungendo e a volte sottraendo qualcosa alle sue precedenti visite, come un amico che si presenta al consueto appuntamento offrendo sempre un nuovo racconto di sé.

Le cose cambiarono il giorno che Ivo, ormai non più bambino, decise che quello non era più il suo sogno. Sapeva benissimo che i sogni vanno e vengono per proprio conto, che non sono offerti in vetrina e che ci si deve quindi adattare ad accoglierli così come sono, senza discutere. Il suo era soltanto un fastidio, una resistenza passiva esercitata restando indifferente, subendo con disattenzione quell’intrusione come un noioso disturbo.

Ma il suo sogno di bambino si era radicato in profondità nella sua mente e non mostrava di volersene allontanare. Sapeva benissimo che Ivo non era più il cucciolo di un tempo che lo aveva a lungo ospitato, che i suoi sogni dovevano necessariamente essere altri, più corposi, magari difficili e forse dolorosi. Ma non sapeva dove andare e, poi, si era affezionato a quel bambino che non si rassegnava all’idea di essere cambiato, di doversi adattare a sogni che non gli assicuravano più la serenità di un tempo. Voleva proteggerlo, almeno nel buio della notte quando i pensieri si liberano, offrendogli una pausa, un momento di serenità per un ritorno alla sua antica casa.

Ma Ivo non voleva saperne. Svegliandosi al mattino pensava con disappunto a quanto era andato perduto nel corso della notte per l’ingombrante presenza di quel bambino che continuava a trastullarsi con i suoi soldatini o con lo scimmione dello Zoo che attraverso il suo sguardo e i suoi gesti dava l’idea di volergli dire qualcosa che a lui non interessava più, di volergli raccontare di quando viveva in una terra lontana dove era vero che non c’erano i bambini che ora venivano a fargli festa ma non c’era quella tristezza che ora non lo abbandonava più.

Non poteva però durare troppo a lungo così. Il nostalgico scimmione occupava uno spazio non suo che sottraeva a ben più accreditati candidati a colloquiare con Ivo nella insostituibile dimensione dell’inconscio. Alla porta premeva la vita con le sue sfide e le sue contraddizioni che la notte rimanevano senza voce, messe a tacere com’erano dalle ingenue divagazioni di uno sprovveduto bambino.

Fu il sogno stesso a rendersene conto. Non c’era più qualcuno che di notte fosse lì ad accoglierlo veramente, era frustrante insistere con i soldatini e lo scimmione che, poverini, avevano anche loro diritto almeno a uno sguardo, a un mezzo sorriso che per un attimo indugiasse sul volto di chi li evocava. Si aggirava tra i pensieri nascosti nelle nebbie del sonno, cercando di farsi strada, ma quelli lo respingevano come un fastidioso intruso che non aveva più niente a che fare con loro. Roba vecchia che doveva essere già da tempo sepolta in qualche anfratto della mente.

Così, finalmente, una notte Ivo sognò qualcosa di diverso. Cose grosse, complicate immagini legate alla giornata appena trascorsa. Il suo luogo di lavoro trasfigurato come mai lui era fino ad allora riuscito a vedere, una rappresentazione della realtà piena di ruvidità e di sottintesi in cui, però, in un angolo molto appartato se ne stava accucciato un bambino chino a fare “bum bum!” con nelle piccole mani due soldatini impegnati a confrontarsi con grande determinazione. Anche loro in guerra, ma allegramente.

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