La lezione di Michele Bravi: il linguaggio del dolore è universale

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Quando si vive un dolore profondo, quando c’è uno strappo nella vita, che ne segna inevitabilmente e contemporaneamente passato, presente e futuro, si pensa che nessuno possa capirci. Si è convinti che, seppur cento altre persone abbiano provato sensazioni simili, nessuno stia vivendo la sofferenza in quel modo particolare come la stiamo vivendo noi. Spesso, quindi, ci si isola, ci si chiude. Talvolta si perde addirittura il contatto con il mondo, smarrendosi in un vuoto di stimoli e prospettive, un eterno ritorno dell’identico, un’estenuante e ossessiva monotonia dell’apatia. Eppure proprio allora, con uno sforzo personale immane e con il supporto di altri, anche di professionisti, si può trovare una geografia, una mappa di coordinate non per superare, ma per convivere con il buio, accettarlo e imparare a fronteggiarlo ogni giorno. Riscoprendo gioia ed emozioni.

Michele Bravi ha vissuto tutto questo e lo racconta, con determinazione e una salvifica assenza di pudore, nel suo ultimo album uscito il 29 gennaio: “La geografia del buio”. Il vincitore di X Factor 2013 ne ha fatta di strada. Dopo un primo posto sorprendente al talent a soli 18 anni, ebbe subito un rapporto conflittuale con il mondo della discografia, che non lo sostenne, nonostante l’uscita di un primo album con molte firme importanti (e forse poca identità e consapevolezza). Per questo dirottò temporaneamente sulla carriera da youtuber, che lo fece conoscere a una larga fetta di giovanissimi, fino a pubblicare nell’autunno 2015 un album dal titolo chiaro: “I hate music” (passando da Sony a Universal). “L’odio non è il contrario dell’amore, è un’altra forma della sua espressione” spiegò e da allora le cose cambiarono. Il ragazzo conobbe il successo con Sanremo 2017, dove arrivò quarto con “Il diario degli errori”. Da allora vendite in rapida ascesa, ospitate televisive, tanti concerti. Fino al novembre 2018.

L’INCIDENTE

Il 22 novembre 2018 Bravi è alla guida di una macchina di una società di car sharing, a Milano. Svolta a sinistra, ma non vede una moto arrivare a velocità sostenuta. La donna che era in sella a quel veicolo, di 58 anni, non sopravvive. Quello è l’inizio del buio. Il ragazzo viene accusato di omicidio stradale per non aver guardato lo specchietto retrovisore e alla fine, nel gennaio 2020, chiede di patteggiare un anno e sei mesi di reclusione. La pena viene sospesa e non menzionata nel casellario giudiziale. Nel frattempo il ragazzo finisce in un pessimo stato psico-fisico e sparisce dalla scena. Lo rivediamo solo nei giorni del patteggiamento, quando in un’intervista tv a Verissimo su Canale 5 spiega con voce esile e tremante che è tornato prima a parlare e poi a cantare grazie al supporto “di un angelo”, ma soprattutto dopo un lungo percorso medico, con la terapia EMDR. Si tratta di un metodo psicoterapico che tratta diverse psicopatologie e problemi legati sia a eventi traumatici che a esperiente fortemente stressanti. Qualche mese dopo la “rivincita” con la partecipazione ad Amici Speciali, il format di Maria De Filippi per raccogliere fondi a favore della Croce Rossa, durante la prima ondata della pandemia.

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IL DISCO

Bravi nel nuovo disco, che doveva uscire a marzo dello scorso anno, ma è stato rimandato proprio a causa Covid, racconta il suo percorso attraverso il buio in modo cristallino e struggente. La sua voce è sempre in bilico, tra l’intonazione e la corda di chitarra scordata, così come è in bilico il suono di un vecchio pianoforte usato in tutte le tracce e suonato con maestria da Andrea Manzoni. Tutto l’album, composto da 10 ballate melodiche, è registrato con pochissimi accorgimenti, mirati, nella casa del produttore Francesco Catitti, detto “Katoo” e mantiene le imperfezioni dei rumori dell’appartamento, come quel suono elettronico in sottofondo del frigorifero che si sente ogni tanto. Ingegnere del suono: Gijs Van Klooster. Poi ci sono le parole dell’amica Chiara Galiazzo, la prima con cui Michele è tornato a cantare in pubblico a fine 2019, nascoste tra una canzone e l’altra e quasi impercettibili. Tutte metafore di una condizione esistenziale precaria e dell’idea che la vita è questo: un perenne oscillare tra felicità e sofferenza. Per trasmettere questi concetti nei testi, Bravi ha scelto pochi autori fidati: dalla sua fedelissima Federica Abbate, ai noti Cheope e Giuseppe Anastasi, passando per lo stesso Katoo, Mattia Cerri e il filosofo e psicanalista Massimo Recalcati.

LE CANZONI

Tra le dieci tracce i due temi che emergono con forza sono il dolore e l’amore, con questo “angelo”, che è la persona a cui Bravi dedica il disco. Due facce della stessa medaglia e dello stesso percorso attraverso il buio, che vengono raccontate con crudezza e poesia, ma sempre mantenendo credibilità.

Il pezzo di apertura, “La promessa dell’alba” è un manifesto e una dichiarazione di intenti. Introduce il racconto del viaggio con voce e musica che quasi non si parlano tra loro, in un flusso di coscienza impetuoso, come un fiume in piena. “La materia che si studia meno a scuola e quella che si conosce meno è la geografia” dice Michele con una metafora. Vero, impariamo davvero troppo poco da piccoli a orientarci tra i mali del mondo.

Poi, procedendo in ordine sparso, “Maneggiami con cura” e “Un secondo prima” (in duetto con Federica Abbate) sono invece canzoni che parlano di fragilità, diversità e accettazione del proprio male. “Mi mostro invulnerabile, ma sono diversamente fragile”, “mi sono tenuto tutto dentro”, “siamo sempre in un mirino”. Le frasi di Bravi e Abbate scandiscono la consapevolezza di una condizione psicologica precaria e disegnano un quadro di una persona con l’acqua alla gola, che però accetta di imparare dai propri sbagli, sapendo che la felicità è difficile da trovare, visto che è “sempre troppo in alto”. Perché in fondo “niente torna più come prima”, ma “la bellezza è nelle cose più normali” e “ho percorso la distanza da quello che ero per capire che sei tu quello che davvero volevo”.

Il racconto si fa aspro con “Storia del mio corpo”, in cui Bravi si concentra sul vissuto del suo fisico, quella gabbia da cui non poteva fuggire. Le fasi del trauma sono tratteggiate con pennellate violente e disilluse. “Ho gli occhi assenti, tu mi dici: quasi non esisti”, “il mio corpo diceva: bruciami come fiammiferi”. La percezione della vita fuori è vaga e il rapporto con il mondo distorto, come quel forte e sostenuto acuto metallico che si sente alla fine del pezzo.

Da quella gabbia però si può uscire, si può riprendere il contatto con il mondo e lo racconta “La vita breve dei coriandoli”, il primo singolo tratto dall’album e uscito lo scorso anno. Forse il punto più alto del disco, in cui si spiega per immagini cosa vuol dire riscoprire l’emozione della gioia e il brivido della libertà. Tornare a guardarsi davvero intorno, per guardare oltre.

Poi c’è l’amore, “che ci salva dalla ferita del mondo”, la frase più densa di significato, inserita nella soave e illuminante “Mantieni il bacio”, canzone firmata anche da Recalcati (che a marzo 2019 ha scritto un saggio proprio con questo titolo). Il video, in cui si vede una coppia omossessuale innamorata, sta spopolando, con una miriade di commenti che ne sottolineano la dolcezza. Il pezzo descrive il sentimento più comune nei testi della musica italiana in modo sorprendentemente profondo, alto e contemporaneamente plausibile, senza retorica.

Simile è “Tutte le poesie sono d’amore”, una celebrazione dell’amore un po’ più classica e meno originale, ma sicuramente tenera. Mentre “Quando un desiderio cade” dice con una melodia incalzante che nella vita “non c’è nulla di eterno”, “niente di sicuro”, ma “la rabbia passa e tutto serve”. Così, “quando un desiderio cade, tu esprimi nuove stelle”.

“Senza fiato” è la canzone più positiva. Tono sostenuto, ritmo orecchiabile e contenuto chiaro: al di là del giusto e dello sbagliato, la vita va vissuta in ogni istante, facendosi travolgere dalla sua pienezza. E infine c’è “A sette passi di distanza”: un pezzo strumentale. Michele suona al pianoforte una sua personale composizione delicata e sofferente. Alla fine si sente che si alza dalla sedia e si allontana, concludendo un disco e forse una pagina di vita.

LA LEZIONE

In un mondo patinato e spesso finto, dove ci si deve divertire a tutti i costi, “La geografia del buio” conquista con la sua verità. Ci vuole coraggio per descrivere apertamente certe cose e ci vuole sensibilità per trasformarle in arte, come fa qui Bravi. Il messaggio di questo disco e cioè che, come ha spiegato lo stesso cantante, “il linguaggio del dolore è sempre lo stesso, tutti parliamo la stessa lingua” e che quindi può essere condiviso in una terapia collettiva, è potente e fa riflettere.

Qualche anno fa Michele voleva prendere una laurea in filosofia. Non l’ha fatto, ma forse è come se l’avesse ottenuta lo stesso. Che una di queste canzoni non sia finita a Sanremo, come si diceva negli ultimi mesi e come forse lo stesso Bravi avrebbe voluto, in fondo è solo un bene. Una perla così rara un po’ cozza con il Festival, che difficilmente sarebbe stato un contenitore giusto per trattare con delicatezza il lavoro fatto. Questo, forse, lo stesso direttore artistico Amadeus lo ha compreso, a prescindere da ogni altra motivazione in campo.