Jago, The Exhibition: quando la scultura diventa performance 

Ruotano attorno alla scultura di Jago con le torce dei cellulari accese. Sono i visitatori che cercano una frase che nessuno ha mai trovato, come indica il pannello presente in sala. L’opera, così, diventa performance. Anche nella descrizione dell’artista che si trova all’ingresso è indicato: “Scultore appassionato e abile comunicatore”. Non nasconde di certo le sue caratteristiche il talento nato a Frosinone. Che nella mostra presente a palazzo Bonaparte (fino al 28 agosto) espone quanto prodotto all’inizio della carriera fino ad arrivare agli ultimi capolavori.

Durante il percorso espositivo di The Exibition si trovano così le pietre, scarto della lavorazione del marmo, che raccoglieva dal greto del fiume Serra, in Toscana. E che, con un’operazione chirurgica, ha aperto come un dottore fa con la pelle di un paziente che deve operare. Dentro? Ha scolpito mani, teste e gatti. Vere e proprie operazioni artistiche che svelano l’essenza di ciò che si trova dentro. 

Vita e morte si alternano nelle varie sculture presenti nella mostra. Così con First Baby, prima opera che è stata nello spazio (2019), e La Pietà, ispirata a una fotografia di un padre che raccoglie il corpo esamine del figlio da terra. Un’allegoria della concezione umana. Come anche spesso Kubrick soleva rappresentare nei suoi film. Un caso su tutti “2001: Odissea nello spazio” con la scena conclusiva del “Bambino delle stelle", ovvero di un feto in utero che attinge al lavoro di Lennart Nilsson. 

Di momenti sacri ce ne sono diversi nel corso dell’esposizione. Uno su tutti, però, merita di essere descritto con cura: è l’incontro con Joseph Ratzinger. Nella stanza dove si trova il buio regna sovrano. Solo una luce il sala illumina il busto dall’alto. Il marmo brilla e gli occhi di Papa Benedetto XVI, infossati con una speciale tecnica, seguono chi guarda in ogni punto della stanza. Nulla sembra sfuggire al prelato. Ma neanche all’artista: le mani finemente lavorate, l’abito abilmente scavato, il volto scrupolosamente rigato restituiscono un ritratto fedele. Anche se non è stato sempre così. Nel 2013, quanto il Papa abdicò, JAGO decise di spogliare la scultura dei paramenti liturgici. Scoprì il busto, gli tolse l’abito talare e rinominò la scultura Habemus Hominem (2016). Un processo che si può osservare guardando il soffitto della stanza, dove viene proiettato il video della trasformazione. La scultura si fonde con la performance. 

Ora, però, non c’è più tempo per scrivere. Dobbiamo tornare a cercare la frase che l’artista ha nascosto nella Venere senza giovinezza e senza carica erotica. Ma con l’eterno fascino di una ricerca che potrebbe essere infinita.