Il trionfo dei Sensi: nuova luce su Mattia e Gregorio Preti

Luogo: Palazzo Barberini

Durata della visita: 30 minuti circa

Periodo: dal 22 Febbraio 2019 al 16 Giugno 2019

Costo biglietto: 12€ intero; 2€ ridotto

Scene cupe e simposiache, lauti banchetti ai quali prendono parte fanciulli piumati, musici, cantori e servi; tele scure rischiarate solo da pochi fulgidi colpi di luce.

Sono alcuni dei quadri che caratterizzano la produzione di Mattia e Gregorio Preti, pittori e fratelli in affari. I due calabresi giunsero a Roma alla ricerca di stimoli e commissioni, fuggendo l’ambiente natale fortemente stantio, per recarsi in quello che era allora il centro artistico del mondo. Più grande di dieci anni, Gregorio arrivò nell’Urbe sondando il terreno per il più giovane e talentuoso fratello. In quegli anni la città pontificia era sotto l’egida barberiniana, dal momento che uno dei membri della casata era salito al soglio pontificio, il dottissimo Maffeo Barberini; proprio questa famiglia è legato il quadro attorno al quale ruota la mostra “Il trionfo dei sensi” a Palazzo Barberini, quell’Allegoria dei cinque sensi attestata dagli inventari seicenteschi della famiglia. L’enorme quadro di formato orizzontale rappresenta una scena di taverna con venti figure simboleggianti i cinque sensi: i suonatori alludono all’udito, il fumatore di pipa all’olfatto, l’oste e i bevitori richiamano il gusto e la scena di chiromanzia definisce il tatto. In primo piano in basso, il pittore – da identificarsi con Gregorio – allude al senso della vista, esibendo i pennelli e la tavolozza.

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La collaborazione fra i due fratelli fu continua, e a quattro mani fu realizzato anche il bellissimo concerto con scene di buona ventura. Qui, un gentiluomo col cappello piumato e la posa melancolica, osserva con fare annoiato una scena di chiromanzia: mentre una zingara distrae l’innocente fanciullo, un suo giovane complice gli sfila il borsello dalla tasca. Dall’altra parte della scena, sulla destra, un uomo coronato di lauro – probabile ritratto del poeta Giovan Battista Marino – suona il liuto ed indossa una elegante pelliccia, mentre è intento a cantare accompagnato dalle note della spinetta suonata dalla bella fanciulla dai capelli raccolti. Alle loro spalle incontriamo i tipici personaggi di una locanda romana: il cuoco con il volatile allo spiedo, l’oste con la brocca di vino e i due avventori in armatura da parata, tutti con ghigni ed espressioni quasi grottesche e gaglioffe.

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È evidente in questo grande quadro – ancora una volta un’allegoria dei cinque sensi – l’influenza che Caravaggio esercitò sui due fratelli calabresi, nonostante la “moda” caravaggesca si stesse ormai esaurendo alla metà degli anni Trenta del Seicento. I fratelli Preti però, in particolare Mattia, non si limitarono ad una pedissequa imitazione del Merisi, guardarono infatti anche alla pittura napoletana, bolognese ed emiliana, reinterpretandole in maniera personale. Così in mostra si possono ammirare capolavori dal sapore riberesco come l’Apostolo, dall’eco guercinesca come la Negazione di Pietro, e addirittura dal ricordo veronesiano come il Cristo e la Cananea, opera recentemente riscoperta in una collezione privata ed attribuita a Mattia Preti da Yuri Primarosa, curatore della mostra insieme ad Alessandro Cosma. L’ingresso nel catalogo di Mattia Preti di questo bel quadro è senza dubbio uno dei vanti di questa piccola esposizione “focus”, che, con grande acribia scientifica, getta nuova luce su due importanti interpreti – poco noti al grande pubblico – della pittura italiana seicentesca, indagando la prima attività di Mattia e la sua formazione nella bottega di Gregorio, chiarendo così anche i punti di contatto e le differenze nel modus pingendi dei due fratelli.