Il buon vino dei papi: Montefiascone tra storia, architettura e gusto

Nel XXIV canto del Purgatorio, mentre attraversa la cornice in cui sono relegati coloro che in vita hanno esagerato con la gola, Dante si imbatte in un’anima che «ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia/ dal Torso fu, e purga per digiuno/ l’anguille di Bolsena e la vernaccia». Si tratta di una figura di grande spicco, il papa francese Martino IV, al secolo Simon de Brion, Pontefice di Santa Romana Chiesa dal 1281 al 1285. Secondo quanto raccontavano le cronache del tempo, a causare la sua dipartita era stata un’indigestione di anguille provenienti dal lago di Bolsena, pietanza di cui andava assolutamente pazzo e che soleva innaffiare con ingenti quantità di vino.

Ma da dove nasceva questa passione di Martino? Nel corso del Duecento i papi, sovrani temporali dello Stato della Chiesa, avevano cominciato a frequentare con buona regolarità la zona del lago di Bolsena, un territorio di grande rilevanza strategica per il controllo dei confini del loro dominio. La loro roccaforte era stata posta in corrispondenza di un villaggio che fin da tempi antichissimi si ergeva sull’altura più elevata dei monti Volsinii, permettendo di dominare con lo sguardo il grande bacino del lago vulcanico. Si trattava di Mons Flaconis, l’odierna Montefiascone. Nel 1207, papa Innocenzo III aveva spostato qui il Rettorato della provincia viterbese dello Stato pontificio e in concomitanza aveva iniziato i lavori per l’edificazione di una possente Rocca militare che ne assicurasse la difesa. La Rocca fu poi trasformata in una vera residenza signorile dallo stesso Martino IV, che amava soggiornare a Montefiascone e farsi servire le predilette anguille.

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Ancora oggi, la Rocca dei Papi di Montefiascone rappresenta una delle attrazioni più interessanti per chi decide di visitare questo affascinante paese per una gita domenicale nel cuore della Tuscia. In verità essa si presenta al visitatore in forma di rudere, lasciandogli solamente intuire la possanza militare di un tempo. Abbandonata nel corso del Seicento e poi semidistrutta da un sisma nel 1695, fu riutilizzata più volte nei secoli successivi dalla comunità come una sorta di grande magazzino: oggi, consolidata e ripulita, la Rocca dei Papi ospita eventi e manifestazioni culturali, mentre al piano terra vi ha sede stabilmente il Museo dell’Architettura di Antonio da Sangallo il Giovane, il grande architetto toscano del Rinascimento largamente attivo in tutto il territorio della Tuscia Viterbese e che particolarmente a Montefiascone lasciò il segno progettando numerosi edifici e ampliando le mura di cinta della stessa Rocca su incarico di papa Leone X.

Sempre alla paternità di Sangallo in Giovane, pur se in collaborazione col veronese Michele Sammicheli, va infatti ascritta la progettazione della Cattedrale di Santa Margherita, l’altro grande edificio che insieme alla Rocca segna in maniera inequivocabile il panorama del paese quando lo si scorge dalla Cassia, disteso sul suo colle. In realtà nel Cinquecento la costruzione della chiesa si era arrestata al livello del possente tamburo circolare, sormontato inizialmente da un banale tetto a spioventi. Così rimase per più di un secolo, fino a quando in seguito al grave incendio del 1670 non si decise di assegnare a Carlo Fontana la ristrutturazione della chiesa e il disegno di una nuova grandiosa cupola (la decima in Italia per diametro, 27 metri), quella che si ammira tuttora e che marca indelebilmente qualsiasi scorcio urbano di Montefiascone.

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Poco fuori dall’abitato, sulla via Verentana che da Montefiascone scende fino alle rive del lago di Bolsena e al borgo di pescatori di Marta, c’è poi un’altra creazione dell’architetto nato a Firenze: è la chiesa di Santa Maria di Montedoro, una costruzione a pianta ottagonale iniziata nel 1523 come voto degli abitanti di Montefiascone alla Madonna durante una tremenda epidemia di peste. Ancora una volta, il Sangallo fu costretto a fermarsi senza ultimare i lavori, anche perché nel 1527 l’esercito di Carlo III di Borbone, in marcia verso Roma per perpetrate il celebre sacco, mise a ferro e fuoco tutto il territorio del Lago di Bolsena, causando una crisi finanziaria ingente che costrinse il cantiere a un lungo stop.

I lanzichenecchi dell’esercito del Borbone non erano i primi teutonici che visitavano Montefiascone. Quattro secoli prima di loro, nel 1111, un nobile tedesco (incerto se rivestisse una carica ecclesiastica o fosse solo un ricco laico) di nome Johannes Defuk era sceso in Italia a seguito dell’Imperatore del Sacro Romano Impero Enrico V, diretto a Roma per farsi incoronare solennemente dal pontefice. Defuk era un grande appassionato di vino e si era fatto precedere lungo il tragitto della Via Francigena dal fido coppiere Martino, cui aveva dato il compito di segnalare le cantine sulla strada che producevano un vino di qualità, apponendo sulle loro porte la parola latina “Est”, abbreviazione della formula “Est Bonum”. Pare che Martino abbia più volte scritto “Est” sulle porte delle cantine, sbilanciandosi qualche volta in un più caloroso “Est Est”; solamente a Montefiascone però, il vino prodotto dai locali lo entusiasmò a tal punto da fargli lasciare la tripla dicitura “Est! Est!! Est!!!”. Defuk seguì il consiglio del fido servitore e, secondo quanto narra la leggenda, non solo si fermò a Montefiascone prima di arrivare a Roma per l’incoronazione dell’imperatore, ma addirittura, dopo il grande evento, decise di trasferirsi stabilmente nel borgo sul lago di Bolsena. Fu qui che due anni dopo morì, proprio per qualche malanno legato al suo bere eccessivo.

Nella chiesa di San Flaviano, autentico gioiello architettonico di origine romanica collocato sul tracciato della via Francigena, è possibile ancora oggi vedere la tomba del nobile avvinazzato, una lastra a gisant in peperino su cui è incisa la frase “Est est est pr nim est hic Jo De Fuk do meus mortuus est”, vale a dire “Per il troppo Est Est Est qui giace morto il mio signore Johannes Defuk”. Da questa storia nacque anche il nome del celebre moscatello “Est! Est! Est!!!”, un bianco sapido e asciutto ancora oggi prodotto e venduto in tutta l’area del lago di Bolsena, ma soprattutto a Montefiascone, nelle molteplici cantine che costellano il suo territorio comunale.

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Insomma, spero di avervi convinto a fare un salto in questo affascinante paese della Tuscia. Tra architettura, bei panorami sul lago e buon vino, state pur sicuri che la vostra gita non sarà di certo un…fiasco.