I motivi del successo di Tolo Tolo, l'ultimo film di Checco Zalone

Quanto immaginavamo alla fine è accaduto. Dopo quattro film dove la comicità ha sovrastato l'arguzia, Zalone riesce nell'intento di rompere la gabbia in cui era incastrato, restando comunque fedele al ruolo di zotico "meravigliosamente mediocre”. Tolo Tolo è il salto di qualità, il suo avvicinamento ai grandi del passato.

E poco importa se ci sono difetti sia sotto il profilo narrativo che sotto quello registico (sottotrame non chiuse, personaggi che appaiono e scompaiono in un istante), l'operazione di Luca Medici, auctor ed agens, è stata vincente. Il perché è presto detto.

Il film è una chiara denuncia a tutti, confermando la politica dolcemente cerchiobottista dell'attore. Destra, Sinistra, Unione Europea. Nessuno escluso. Il rigurgito mussoliniano, la parlantina a vanvera della sinistra bene, i criteri arbitrari di assegnazione dei migranti per l'Europa. Zalone non salva nessuno, e fa bene, perché i suoi film sono rivolti a tutti. Dal quattordicenne che ascolta Sferaebbasta al settantenne con bastone e busto del Duce in casa. Per questo tutti lo vanno a vedere.

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E Checco Zalone vince quando in sala cala il gelo davanti alle prime note di "Faccetta Nera", quando passa il telefono al miliziano per farlo parlare con il linguaggio aulico e incomprensibile di Nichi Vendola, quando urla "Razzisti" agli uomini e alle donne di colore, quando fa tirare a sorte il destino delle persone sulla Ong. Vince soprattutto quando mette nero su bianco che il fascismo è una malattia e come tale va curata, ma non con l'amore, bensì col viaggio, con la conoscenza di altre culture e con la cultura stessa.

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Vince anche quando la gente esce dalla sala parlando di "mattonata", "trashata", "pesantezza", "schifo", "rottura di palle", "inutilità", "calo di stile", "noia". Perché vuol dire che ha toccato tutti e che ognuno si è visto in un personaggio o nell'altro e in ciò che sta accadendo. Vince perché da oggi parlerò meno come Nichi Vendola e cercherò di fare di più. Vince perché il populista medio esce sconfitto e a testa bassa dalla sala, vince perché lancia un messaggio e spinge alla consapevolezza.

La vera forza di Checco Zalone è stata quella di aver riportato al cinema uomini che non andavano nelle sale dai tempi del Sesto Senso. Un pregio, indubbiamente, ma anche una responsabilità, che ti punta addosso l'arma dei riflettori. Un'arma che Medici ha saputo rubare alla critica per farla sua, puntando il grilletto contro lo spettatore col non facile tema dell'immigrazione.

Lui resta il personaggio del quale tutti ci siamo innamorati. Burbero, egoista e opportunista. Non cambia, ma muta il contesto, che diventa l'odissea quotidiana di chi è costretto a fuggire dalla propria terra per cercare un futuro, a prescindere dal fatto che sia migliore o peggiore. Da qui la sfida di adattare una comicità del genere a un qualcosa più grande della comicità stessa, sulle orme de "La vita è bella" e dei classici di Sordi.

Il problema è il rapporto con il pubblico non abituato a tutto questo, per lo più non adatto a rivedere le proprie idee. Ma se non ora, "Tolo Tolo" spingerà a riflettere, e qualunque cosa che cerca di cambiare il corso della storia in positivo non può che essere che vincente.