Dolores Prato, “Roma, non altro”

Questo è un libro raffinato, in ogni suo aspetto. Si tratta di una raccolta postuma di scritti - perlopiù articoli - alcuni pubblicati, altri inediti che Dolores Prato ha composto fra gli anni cinquanta e settanta a proposito della città di Roma. Sarebbe meglio dire a proposito della malinconia, del rimpianto verso una Roma scomparsa o sul punto di farlo, in seguito alla sua designazione come capitale d’Italia - una malinconia quindi già un po’ datata, a proposito di momenti che forse nemmeno la stessa Prato è riuscita a vivere sulla propria pelle. La lingua è coltissima e le dissertazioni lo sono; la lingua è tanto colta da essere aristocratica, tanto aristocratica da trovarsi sul limite - e talvolta superarlo - dello snobismo.

Solo un linguaggio così aristocratico poteva dar voce alla più bella descrizione mai esistita di una cloaca. L’abilità compositiva e la sagacia di Prato sono fuori di questione, come anche la sua capacità di creare immagini vivide, anche, appunto, di ciò che ella non ha conosciuto direttamente. Io, romano d’adozione e con qualche riserva - rivendico sempre, con molta ironia, il mio natale “granducale” - mi sono ritrovato, leggendo, ad amare Roma di un amore rinnovato, perché la amo già follemente, è innegabile, ma in modo critico ed incostante.

Prato mi ha circuito per mezzo della sua quasi esagerata malinconia e mi ha fatto sprofondare in questo suo amore paludoso per Roma, dal quale se ne esce a stento e solo grazie a Napoli (lei stessa, in questa serie non voluta, cede ad un articolo, uno solo e magnifico, su Napoli e Caserta). Ho conosciuto diversi “romani sfegatati”, ben diversi dai volgari romanisti “giallo-rossi” poiché Roma è d’oro e porfido, e questo è il libro fatto per loro, dal momento che è rigonfio di ricercatissime informazioni definibili banalmente interessanti, ma più intensamente poetiche su Roma, sui nomi, sui luoghi. In più, parla di amore per Roma con lo stesso lacrimevole sentimento acritico, ed un po’ aggressivo, con cui questi romani crisoporfiri ne hanno parlato a me. Non li biasimo però, io stesso mi sciolgo commosso scendendo dal Campidoglio alla vista del Teatro di Marcello roseo di tramonto, o assaporando l’aria della via Aurelia Antica che costeggia il parco di Villa Doria Pamphilj, quando sembra un bosco e a primavera profuma di fiori. Guai a parlar male di Roma davanti a me! Roma è troppo bella!

Che Prato abbia una «granitica, e a tratti intransigente, identità cattolica» pare chiaro, e questo mi rende più spigoloso il suo abbraccio, ma appare chiara anche la sua «VOCE FUORI CORO», che smussa gli spigoli e mi fa sorridere nel leggere la critica persino al giallo taxì - rigorosamente con l’accento sulla “i” - rivendicando il verde di leggendaria ascendenza austroungarica. Forse questa del colore dei tassì - giacché a me piace giocare al gioco degli scrittori che leggo ed in questo caso ammorbidisco la troppo aspra “x” - mi ha particolarmente colpito perché la storia-leggenda del verde utilizzato per i mezzi pubblici italiani nel primo dopoguerra, derivante da gigantesche provvigioni di vernice di questo colore fornite come parte del risarcimento per i danni bellici da parte del decaduto Impero Austro-Ungarico all’Italia, mi era stata raccontata da una persona molto, molto cara. Fra i vari testi, quello per me più denso di bellezza è “Divagazioni tiberine”, il più lungo ed articolato della raccolta, che si perde fra la storia fluviale e la nostalgia per un rapporto più stretto fra Roma ed il suo fiume, interrotto dalla costruzione dei muraglioni.

Oggi, Prato potrebbe esserne forse un pochino soddisfatta, si può recuperare parte di questo perduto paesaggio passeggiando nel recentemente aperto “Parco Tevere Marconi”. Chissà, chissà se un pensiero sia corso a Dolores Prato e alla sua nostalgia! Ho trovato solo un piccolo difetto nel libro: talvolta composizioni fra loro troppo simili, forse per rispondere ad un’esigenza cronologica molto scientifica ma poco propensa ad accogliere le rimostranze del piacere della lettura, si trovano estremamente ravvicinate, così da portare il lettore a rileggere, quasi da capo, un capitolo da poco concluso dopo poche pagine. Dicevo, però, che questo è un libro raffinato sotto molti punti di vista, non solo nei contenuti.

Agli amanti bibliofili, agli appassionati del libro come oggetto, questo riserverà molteplici godimenti. La grafica della copertina ha un aspetto scientifico ma aggraziato, il colore pare ridicolo ed invece, così compatto, ha un aspetto estremamente dignitoso, direi appassionante; inoltre, o meraviglia!, aprendolo, usandolo, si scorge il formarsi di ombre regolari sulla costa e, se ci si passa il dito sopra, si sentono altrettante protuberanze: gioia della rarità! Il libro è cucito!

Casa editrice Quodlibet mi hai conquistato perché io amo le raffinatezze.