Aurora Venturini, “Le cugine”

Il libro è qui accanto a me, bollente, formidabile. Yuna, la protagonista di questo volume, è uno splendore, è davvero uno splendore, e mai come adesso ho desiderato abbracciare un personaggio di finzione. Lei non approverebbe di certo.

Il libro è il più cinico che abbia mai letto, almeno così pensavo, ma non sarebbe giusto chiamarlo cinico, sarebbe riduttivo. L’espediente di Yuna permette a Venturini di parlare un linguaggio magnifico, sotto tutti i punti di vista. Yuna è una pittrice e non ha molta abilità con le parole, parlate o scritte. Informa spesso noi lettori di tutta la fatica che le costa scrivere, di tutta la fatica che le costa mettere la punteggiatura: la prima parte del libro è un susseguirsi di rapidissime parole che come rapidissime e travolgenti slavine senza soluzione di continuità si abbattono l’una dopo l’altra su noi lettori.

Queste ondate sono dolorose e crudeli, piene di tutti i disgustosi liquami che i corpi emettono, ancor più disgustosi perché i corpi in questione sono corrotti e deformi. Con l’innocenza di una bambina Yuna ne parla senza remore, dando alle puzze la loro dignità di fetore e al proprio disgusto altrettanta dignità: è giusto provare orrore, non c’è bontà che regga.

Qui e là, però, Venturini mette in bocca a Yuna delle rose, perché sì, c’è poesia anche fra queste parole e questi miasmi. Yuna studia e fatica, compie una fatica titanica ed estenuante senza nasconderla al lettore - io adoro quando gli scrittori scrivono direttamente al lettore - e mano a mano impara a mettere le virgole, i punti non le causano più il precipitare dei pensieri, il suo vocabolario si arricchisce, anzi no, diventa ricco («Credo di essere colta») alla fine di un percorso di crescita che è anche di emancipazione non semplicemente di una donna nei confronti della famiglia o della società, ma di una persona nei confronti del proprio retaggio, se vogliamo del proprio destino.

Noi lettori siamo testimoni diretti di questa evoluzione perché il linguaggio del libro porta tutti i segni dei cambiamenti elencati. Yuna impara a conoscersi e si educa attraverso il lavoro e la dura disciplina. La conoscenza, che genera ed è generata al tempo stesso dall’autocoscienza, è un’arma a doppio taglio: chiama per nome ogni singolo dolore ma addita anche ogni possibilità di scelta

. La conoscenza non è la salvezza, ma è la bussola che ad essa punta. Le mani di Yuna si stringono attorno a questa bussola potentemente - questo libro mi toglie le parole di bocca e mi fa venire voglia di urlare per la forza che trasuda, è una delle cose più potenti che abbia mai letto e sì, parlo proprio di forza, forza bruta, una di quelle virtù che mai mi ha interessato e che metterei fra virgolette, “virtù”, perché ancora non avevo letto questo libro e adesso sì, affermo che la forza è una virtù e che non prescinde dai fiori, poiché questo libro è una poesia e forse è meglio che io scriva un commento così, piuttosto che una serie di frasi ordinate e composte.

“Le cugine” è il percorso di Yuna verso la liberazione, per mezzo delle proprie mani, di se stessa: cosa può esserci di più forte?

P.s. una nota di merito sia alla prefazione sia alla bella postfazione di Francesca Lazzarato