Atlas. Di viaggi e di mappe

I -Di mappe e di viaggi

Persi nel cosmo gli uomini hanno giocato ad approssimazioni del mondo nella vana speranza di dare un ordine al caos. I labirinti, le Upanishad, il Timeo e le piramidi sono alcuni di questi giochi volti a comprendere l’universo che ci circonda e assieme alle mitologie indù e agli Isacco Newton della fisica, ai Michelangelo della Creazione e alle filosofie greche che volano in cielo come nuvole o come santi, anche le mappe partecipano di questa scommessa. E di ogni fisica e metafisica le mappe sono la somma e la sintesi, che le comprende e forse le anticipa.

Nel ventre d’una caverna o sulle sabbie d’una spiaggia, prima della folla di villeggianti con cestini di quiche alla verdura e guide Michelin e Dumont sottobraccio, l’uomo di Lascaux disegna la mappa verso i suoi uri e le vaste praterie.

Ma era quella l’epoca dell’innominata realtà delle cose, quando per dire un fiore lo si indicava e le mappe guidavano all’essenziale. Oggi che l’alfabeto pare aver esaurito le sue possibilità e tutto possiede già un nome si sono moltiplicati anche gli atlanti e a Natale regaliamo alla nonna la guida al miglior pastrami di New York.

Ciò nonostante le mappe continuano ad appartenere alla dimensione della speranza e dell’attesa, sono lo spazio fisico dell’impossibile dove cartografi cinquecenteschi dipingono melusine e grifoni sulle rive del Gange e cinocefali in Africa. Qui Aristotele e Tolomeo baccagliano con santi cristiani e ortodossi, mentre spagnoli e portoghesi tracciano nuove geografie per dare un senso all’inneffabile, all’inspiegabilità furiosa delle cose.

Ad un certo punto della storia abbiamo dovuto far di conto con nuove sfingi e altri minotauri, con popoli al di là degli antipodi che rimettevano in discussione le nostre metafisiche. Ma se noi vedevamo in quei popoli il nostro passato fatto di frecce e di piume, loro vedevano con sguardo castano il futuro, un mondo che ancora non era stato. Si affacciano ad occidente nuovi dei dallo sguardo terreo e il volto di giada, popoli bruniti che squadernano le nostre geografie.

Pietro Ruffo, Constellation 29 Nord Africa, 2019. Attualmente in mostra presso la Galleria Lorcan O’Neill di Roma.

Colombo, Pigafetta, Vespucci diventano i profeti del Nuovo Mondo ma ogni scoperta è come il respiro di Brahma che continuamente crea e distrugge mondi.

Hic sunt leones era l’avvertimento che si leggeva su più antichi atlanti, in terre di confine dove blessi e sciapodi si contendevano miracoli e orrori. Resisteva nell’uomo il mistero, ma ad ogni viaggio le colonne d’Ercole si spostavano sempre un po’ più in là e l’Altro -la Meraviglia, l’Assurdo, la Luna- destinato ai margini estremi di mappe e planisferi.

L’Oceano e le chimere, le teratologie di Plinio non sono solo un nome gridato nelle corti di Spagna e nelle piazze, cominciano ad avere un volto che pure si scopre di sogno. Dietro la maschera della sfinge rimangono solo schiavi e Viceré. Eppure il mondo ringiovanisce. Tutto, per qualche secolo, è nuovo. I popoli di la l’Oceano, gli animali da bestiario, la natura e gli alti cieli che partoriscono capovolte stelle e frutti rossi come tramonti.

Poi all’improvviso, un giorno che non si sa quando, ogni cosa si fa consueta. Montezuma diventa il nome d’un vecchio re di periferia e quel mondo di lotta e sangue tramonta come una Fata Morgana all’orizzonte. Conquistata ogni cosa il mondo si regge adesso in un palmo di mano, mappamondo da scrivania.

Come Teseo, come il Ludwig di Visconti o il Caligola di Camus il mondo che ci circonda è intollerabile, meschino mentre noi vogliamo essere liberi di cercare la felicità nell’impossibile.

“Se tutti gli enigmi sono risolti, le stelle si spengono” sussurra Jean Baudrillard e dal fondo di un proscenio gridano menadi e iniziati: È reale solo ciò che è assurdo, noi è da tanto che lo sappiamo. Siamo orfani della Luna, della Chimera, della Madre.

II -Il sogno di un compilatore di effemeridi

Conquistate le Americhe, i poli, le isole del Pacifico rimane l’infinitamente alto e l’infinitamente basso. Il cielo e l’abisso (bhutos). Sui tavoli di porfido si scompaginano le mappe orlate di santi e di angeli del regno dei cieli, mentre gesuiti e fiorentini acquistano guide Alighieri del Paradiso.

Si traccia la strada all’invisibile. Si disegnano portolani di Atlantide e anche l’ultima Thule si avvicina, fin quando i confini non raggiungono la luna e la terra si fa provincia, paese, periferia.

Felici selenografie e portolani lunari indicano ad Astolfo la rotta per andare in cerca del senno perduto in qualche ansa del Mare della Tranquillità (Mare Tranquillitatis), mentre Pulcinella già appresta il suo viaggio nelle più alte sfere con una caravella e un soffietto per camino.

Cosmografi dall’occhio ciclopico e ritrattisti lunari lavorano alla nomenclatura della tormentata geografia lunare moltiplicando le carte, le mappe, gli atlanti.


La luna si scopre affollata. L’Apollo 11 manda in pensione l‘ippogrifo che ora corre con Astolfo nell’ippodromo di Freudenau, mentre lo Sputnik già sfida gli emicicli cosmici con uomini e cani.

Gustave Doré, Astolfo sulla Luna.

Siamo al 20 luglio 1969 e questo è il sogno di un compilatore di effemeridi. Coppie di anziani danzano in una balera estiva con la sabbia tra i piedi e il naso alla luna, cercano pure loro una vecchia tivù e due cosmonauti che a passo di giava van via tra i crateri.

“Houston, Tranquillity Base here. The Eagle has landed”

Tito Stagno e Ruggero Orlando gridano alla luna, ma di notte un poeta si chiede: Andranno con l’animo dei dissacratori, dei profanatori? Siamo al 20 luglio 1969 e questo è il sogno di un compilatore di effemeridi.

III -Orfeo a Birkenau

Ogni conquista è una perdita, che sia Atlantide o l’America, in cui cronisti arabi e mercanti veneziani cedono il passo alla sottile matematica del viaggiare. Significa tracciare di un paese i suoi confini, disegnare l’orlo delle coste o di un monte, osservare con l’occhio della Gorgone che tutto impietra e assegnargli un posto nel mondo, tra un oceano e un continente. E quella terra la spogliamo infine dei suoi simboli e dei suoi misteri, e ne restituiamo il corpo nudo, esposto alla folla. Come Marsia appeso e scuoiato nel cielo terso o come la pelle di San Bartolomeo, anche dell’America ci resta solo un cadavere esangue. È un lavoro di sottrazione, scoprendo una cosa diciamo in primo luogo ciò che non è. Non è la terra della chimera, degli sciapodi, delle melusine, rimane -della luna, dell’America- il dato reale che è un residuo d’immagine e anche il cuore di Colombo s‘è fatto ormai disilluso.

Passiamo dalla realtà del mito alla realtà delle cose. Il viaggio di Ulisse è il lento adombrarsi di magie e prodigi, il passaggio dall’Itaca di sogno all’Itaca reale, dove l’attende Penelope in un condomino alla periferia dell’isola lavorando a maglia il fil di cotone.

Trovandolo perdiamo infine l’oggetto del nostro cercare. Orfeo, Ulisse, Colombo sono i grandi sconfitti, coloro che hanno perso tutto. L’hanno visto a Birkenau Orfeo, risalire quel budello e urlare, prima di voltarsi un’unica e sola volta: Das ende! Das ende! (La fine! La fine)

Ogni conquista è una perdita.

IV – Vitriol

Visita Interiora Terrae, Rectificando Invenies Occultum Lapidem

Al disvelamento del mondo di sopra col suo corredo di mappe, planetari, rose dei venti e selenografie non corrisponde però una uguale conoscenza del mondo di sotto. Gli abissi restano pressoché sconosciuti. Poco si sa dei fondali marini e ancor meno di quelli terrestri, il nocciolo della terra resta avvolto in una tenebra che rifiuta ogni luce.

La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta.1

Uomini degni di fede hanno giurato nel corso dei secoli di regni sotterranei che si estenderebbero attraverso gli oceani e i continenti, seguendo una storia parallela alla nostra e che ignoriamo. Sopra a quante città, a quante Roma o Cartagine, stiamo camminando oggi mentre quegli imperi -sotto di noi- si danno battaglia o innalzano templi mille volte più grandi delle Gallerie Lafayette?

I Pontefici di Lhasa e di Urga posseggono le chiavi di tale mistero. E la Mongolia -giura nel 1922 Ferdinand Ossendowski, esploratore, scrittore e membro dell’Accademia di Francia- è la culla del Mistero.

Qui nascosto a tutti, come in un sogno, trova rifugio il Re del Mondo che impera su Agarthi e sui destini dell’universo intero.

Dai racconti dei Lama e dei principi nomadi delle steppe veniamo a sapere di monaci e di santi che scompaiono con intere tribù nelle fenditure della Mongolia, ma che raggiungano il re del Mondo è una vana speranza, troppo grande è il paese e non li lascerebbe avvicinarsi, disorientati si smarrirebbero nell’aria.

Eppure questa terra che come Saturno divora i suoi figli rigurgita talvolta profeti, Cassandre e Tiresie, che vaticinano a Los Angeles o Katmandù l'avvento del Papa Re. Ed è così che tra stanchi oracoli e madonne teosofiche Agarthi prende forma. Nella vecchia Costantinopoli Michele Psello (Omnifaria doctrina) già sognava città d’oro come icone sotto la pelle della terra e, lontano da Bisanzio, la cartomante che vediamo oggi ad un angolo del metrò girare una carta e poi l’altra, ci ricorda e grida che un sole perenne e croco illumina più vasti crepacci e gallerie al centro del mondo. Lì dove -è teoria questa di Saint-Yves- avviene la celebrazione sotterranea dei misteri cosmici.2

Scopriamo infine che l’intera terra è cava e il mito si fa parodia.

Al mondo intero, Io dichiaro che la Terra è vuota e abitabile interiormente. Essa contiene molte sfere solide, concentriche, collocate l’una nell’altra, ed è aperta al polo da 12 a 16 gradi. Mi impegno a dimostrare la realtà di ciò che affermo e sono pronto ad esplorare l’interno della Terra se il mondo accetta di aiutarmi nella mia impresa.3

Con questa lettera John Cleves Symnes, ex capitano di fanteria dell’Ohio, annuncia il 10 aprile 1818 al Congresso degli Stati Uniti che la Terra è vuota come le ossa di un cormorano delle Everglades o come una bolla di sapone.

L’abisso -ora lo sappiamo- è doppio. Il mondo sotterraneo è nient’altro che il mondo celeste visto al rovescio come in uno specchio.

Videmus nunc per speculum in aenigmate: tunc autem facie ad faciem.4

Levi Walter Yaggy, “Geological Chart”, Chicago, 1893 (fonte: David Rumsey Map Collection)

V -Il Mundus Subterraneus di Athanasius Kircher

I resti di una Minerva e di un discobolo greco fanno guardia alle tavole del Mundus Subterraneus nelle quali, più di un secolo dopo Colombo e le Americhe, apprendiamo la geografia di un nuovo mondo. A metà tra il Milione e le città di Calvino, la terra cava di Kircher illustra la sotterranea cartografia del pianeta, abitato dai cabiri e dall'Idra. Ma al contrario del continente americano e di quello indiano, i confini restano imprecisi e vaghi e, come avviene talvolta nei sogni dove ciascuno si fa etnografo delle regioni del proprio io, la realtà qui non ha ancora un nome. In questo emisfero in cui ogni sforzo è proteso al ribasso, il centro appare tanto lontano quanto il sole di quassù.

Opposta alla verticalità celeste è dunque l'abissale verticalità del Mundus Subterraneus.

Illustrazione dal Mundus Subterraneus di Athanasius Kircher.


1 Gv 1,5

2 R. Guenon, Il Re del Mondo

3 L. Pauwels – J. Bergier, Il mattino dei maghi

4 “Ora vediamo le cose attraverso uno specchio, per enigmi, ma un giorno le vedremo faccia a faccia”. S. Paolo, I Corinzi XIII,12