I quindici dischi da ascoltare del 2020

Il 2020 è da poco terminato. Per la musica, causa emergenza sanitaria, è stato un anno nefasto alla voce live. È andata meglio sul fronte studio. Di album ne sono usciti davvero molti e c'è chi addirittura ne ha pubblicati due nel giro di pochi mesi (Taylor Swift). Abbiamo tirato fuori quindici dischi, dieci stranieri e cinque italiani, che secondo noi meritano uno o più ascolti.

IDLES - ULTRA MONO

La band di Bristol continua ad alzare la voce e il volume delle chitarre distorte. Talbot sbraita contro chiunque versi brevi e ispidi, veri e propri slogan, con il resto della banda che erge un granitico blocco di post punk e post hardcore impossibile da scalfire. ULTRA MONO è un disco quadrato, potente e ferocemente selvaggio quando c'è da denunciare i potenti e i loro soprusi. Un urlo dai bassifondi.

Bob Dylan - Rough And Rowdy Ways

Alla soglia degli ottant’anni, dopo una lunga incursione nella musica della tradizione americana, Bob Dylan riprende penna e calamaio e torna a scrivere musica di sua proprietà a otto anni dall'ultima volta. Dopo Tempest un nuovo album di inediti del cantautore premio Nobel, ispirato nei testi e negli arrangiamenti. Un cammino introspettivo nel cosmo semiautobiografico di Robert Zimmerman che punta la lente d'ingrandimento sul tempo, emblematica la canzone fiume Murder Must Foul di diciassette minuti, e sullo spettro freddo della morte. Una moneta nel jukebox e via, verso Key West.

Phoebe Bridgers - Punisher

Seconda prova per la statunitense che si conferma, dopo il buon esordio, una cantautrice peculiare e innovativa. L’originalità nella scrittura è riposta nella naturalezza con cui Phoebe Bridgers racconta storie in bilico tra amore e tragedia. Tratti di purezza disseminati negli arpeggi, nella voce sussurrata, e punte di astuzia che scivolano su lisce costruzioni elettroniche fanno di Punisher un prisma sfaccettato di suoni e sensazioni alterne, dove sogno e incubo si equivalgono, in un big bang emozionale.

Paul McCartney - McCartney III

McCartney I è datato 1970 sul finire del miracolo Beatles. Passano dieci anni ed è la volta di McCartney II, pubblicato durante il periodo di Paul e dei Wings. Ma senza tre non esiste il due, allora Macca torna ragazzo cimentandosi nelle famose jam casalinghe dei primi due capitoli e porta a termine una trilogia lunga cinquant’anni. Afferra e suona uno strumento dopo l’altro. Poi compone. E ancora registra e monta le parti. Il tutto fra le mura domestiche della sua abitazione nel Sussex. Nemmeno il tempo di uscire e il diciottesimo album in studio di Sir Paul è in cima alle classifiche. Nulla di cui stupirsi quando si parla di primi della classe. Di leggende.

The Weeknd - After Hours

Un album ma anche un thriller psicologico tra finzione e realtà. Tutto questo è After Hours di The Weeknd, ultimo lavoro in ordine di tempo dell’artista canadese. In una dimensione pop vintage anni ottanta Abel Tesfaye vestito di nero e di rosso fugge, ferito e sanguinante, nelle strade labirintiche della città del peccato. Le “luci accecanti” e i sintetizzatori retrò sono i demoni che inseguono il nostro protagonista in cerca di ristoro. Ma con The Weeknd lo sappiamo, il riposo può aspettare.

Fiona Apple - Fetch The Bolt Cutters

La cantautrice newyorkese era avvolta da un eremitico silenzio. Un tour fermato sul nascere per assistere il cagnolino malato e da quel momento qualche rara e sporadica apparizione, fino ad oggi. Con Fetch The Bolt Cutters Fiona Apple raggiunge l’acme del proprio processo creativo, restituendo al pubblico un art pop denso di melodie notevoli e ritmiche calamitiche. Il tocco jazz è sempre vivo e come per McCartney anche la Apple si affida alle accoglienti mura della casa. Qui ogni cosa si fa percussione, perfino le sedie, e le pareti fungono da amplificatore per strumenti convenzionali e non. Il papabile disco dell’anno è apparso magicamente, di colpo, ed è frutto di un percorso intricato svoltosi distante dai riflettori.

Tame Impala - The Slow Rush

Come per Justin Vernon e i Bon Iver, anche con i Tame Impala è complicato stabilire dove questi finiscono e dove inizia Kevin Parker. Quest’ultimo può considerarsi oramai un one man band, e in The Slow Rush siamo lontani dalla psichedelia rock degli albori, già abbandonata nel precedente Currents. Ampio spazio a synth e dream pop in salsa disco per questa colonna sonora per cuori solitari. Quando la mente di Parker si attiva e la macchina Tame Impala si accende è difficile restare delusi.

The Strokes - The New Abnormal

Il 2020 ha segnato il grande ritorno degli Strokes. Atteso da anni, sette per la precisione, The New Abnormal è il successore del neutro Comedown Machine. Casablancas dopo la parentesi The Voidz è nuovamente al microfono del gruppo indie rock che creò uno spaccato ad inizio millennio e folgorò milioni di persone con This Is It. Il mood è lo stesso degli esordi, sfacciato e spavaldo in brani del calibro di The Adults Are Talking e Ode To The Mets, mentre ammissioni nostalgiche a un decennio in particolare e ammiccamenti espliciti all'icona Billy Idol emergono in altre tracce. L’andamento compassato che permea la doppia anima indie rock e synth pop di The New Abnormal, complice forse l’ingresso nei quaranta della band, è affidato infine alla produzione carismatica di Rick Rubin. Un canto del cigno? Si spera di no.

Sevdaliza - Shabrang

In Shabrang il nero trap cervellotico di Sevdaliza si fonde al pop da camera e a riverberi grunge. Ballate color petrolio si alternano a nenie tenebrose e marchiano il cammino che porterà ad un’ardua risalita dall’oscurità alla luce. I beat futuristici accolgono tasti di pianoforte, corde di violino e il pizzicare di un’arpa computerizzata, segno dell’avvenuta conversione del dolore in forza. Sevdaliza come da copione fa tutto da sé: canta, scrive e produce secondo leggi indipendenti.

Fontaines D.C. - A Hero's Death

Un’altra testimonianza importante di post punk anglosassone. Nello stesso anno degli IDLES ecco spuntare anche i Fontaines D.C. Radicati e legati indissolubilmente alla loro Dublino, i cinque irlandesi hanno dimostrato da subito grandi qualità, basti pensare al successo di pubblico e critica ottenuto con Dogrel. Ora erano attesi alla prova insidiosa del secondo disco, quello della riconferma, a detta di molti la gara più faticosa. Al fotofinish la band è prima: A Hero’s Death è medaglia d’oro zecchino. Un lavoro troppo importante di un genere che ardentemente vuole riemergere dal torpore. Le chitarre tremolano, il basso gira che è una meraviglia e le bacchette picchiano nell’esatto centro del tamburo. Un’onda scura che inghiotte e una voce con forte accento d’Irlanda che richiama all’attenzione.

Francesco Bianconi - Forever

Il cofondatore dei Baustelle ripone nell’armadio l’ebbrezza pop dei due volumi de L’Amore e La Violenza, album settimo e ottavo della band, e sceglie una passeggiata solista. Forever vive del suo essere essenziale e puro, romantico e solenne. Arrangiamenti d’archi e pianoforte in chiave classica accompagnano le parole sagge ma anche spiazzanti di Bianconi, che canta con il suo tipico registro alto e popolare al contempo. Un lavoro pieno di riflessione e sensibilità che merita certamente una menzione.

Colapesce Dimartino - I Mortali

Quando si parla di Colapesce e DiMartino si sta facendo riferimento a due dei migliori esponenti del cantautorato “indie” dello Stivale. Il duo siculo scrive e compone a quattro mani un’opera eclettica che esplora il tema della mortalità e del suo opposto. Durante l’adolescenza si assapora un senso innocente di immortalità che si affievolisce tuttavia col passare delle primavere, mostrando la natura mortale dell’uomo. Un pregevole pop d’autore di un binomio artistico efficace e perfettamente compatibile, in una scenografica cornice siciliana che funge da sfondo alle vicende cantate.

Speranza - L'Ultimo A Morire

Una trafila infinita e un vagabondare da una periferia all’altra d’Europa. In Francia, nei sobborghi marsigliesi e nei poverissimi rioni al confine con la Germania, Speranza scopre il rap tra il degrado e l’emarginazione sociale. Rientra a Caserta e crea un esplosivo cocktail di barre napoletane e francesi condito da un flow e una rabbia da vendere. Ruggiti di hardcore rap, melodie gitane e il giusto quantitativo di “cazzimma” sono il curriculum vitae di questo primo e interessante long playing. E ora, “spall a’sott”.

Il Quadro Di Troisi - Il Quadro Di Troisi

Non solo oltreoceano vengono rilasciate gemme di synth e art pop. Attraversando ed esplorando trent’anni e più di musica elettronica e popolare del nostro paese, da Battiato al Battisti dei dischi bianchi sostando presso l’oasi Matia Bazar, Il Quadro Di Troisi consegna un prodotto unico, esteticamente abbacinante. Eva Geist e Donato Dozzi uniscono rispettivamente spiritualismo lirico e sintetizzatori fantascientifici, ottenendo un risultato strepitoso. Un modo diverso di guardare al nostro passato musicale, con uno sguardo che non si esaurisce solo all’effetto nostalgia e alla mera imitazione.

Campos - Latlong

Latitudine e longitudine troncate e fuse insieme in un solo termine, Latlong. Il terzo album dei Campos è infarcito di natura: alberi verdi e mari azzurri, cieli limpidi e vulcani borbottanti. Undici brani elettro acustici costruiti al millimetro, i cui arpeggi folk galleggiano in superficie su onde sintetiche. C’è un messaggio nella bottiglia destinato a noi ascoltatori e a coraggiosi marinai. Il trio pisano dimostra talento e cura per i particolari, continuando con la stesura di testi in italiano, preferiti all'inglese già dal secondo disco della loro carriera.