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Gabriele Lavia con "I giganti della montagna"


I giganti della montagna - Federica Di Martino, Clemente Pennarella _ ph. Tommaso Le Pera MEDIA.JPG
  • Dove: Teatro Eliseo

  • Quando: dal 13 al 31 marzo

  • Orari spettacolo: martedì, giovedì, venerdì e sabato ore 20.00; mercoledì e domenica ore 17.00

  • Costo biglietti: da 15 a 35€

  • Recensione: qui


Gabriele Lavia, dopo Sei personaggi in cerca d’autore e L’uomo dal fiore in bocca... e non solo, chiude la sua personale trilogia pirandelliana con I giganti della montagna, “l’ultimo dei miti, testamento artistico di Luigi Pirandello, il punto più alto e la sintesi di tutta la sua poetica”. La nuova produzione della Fondazione Teatro della Toscana, in coproduzione con il Teatro Stabile di Torino e il Teatro Biondo di Palermo, debutta al Teatro Eliseo dal 13 al 31 marzo.

Scrive Gabriele Lavia nelle note di regia: Ho sempre pensato che i ‘ragionamenti’ così ‘appassionati’ e ‘freddi’ dei personaggi pirandelliani non fossero che delirio, fuoco. Il suo razionale, costante, lucido rovello fosse calor bianco e la sua dialettica, lucida e distaccata, fosse proprio il ronzio di una ‘mosca impazzita dentro una bottiglia’. La trasparenza del vetro rende indecifrabile e incomprensibile la ‘trappola’ dentro cui si è infilata. L’esistenza di questa piccolissima ‘bestia’ non è altro che un inutile volo ronzante e pazzo: una vita priva di senso. ‘Siamo rimasti nel mistero e senza Dio’.

Il ‘mistero senza Dio’, la bottiglia invisibile che intrappola la Mosca Uomo, è l’ ‘oltre’.

L’ ‘oltre’ è qualcosa che non può essere colto, ma che ci coglie. Tutta l’opera di Pirandello ruota intorno a questo ‘mistero’ e si protende verso il mistero dell’ ‘oltre’, trappola trasparente, invisibile, ineludibile, incomprensibile dell’uomo.

La trappola è una famosa novella, appunto, di Luigi Pirandello. L’irrazionale, l’onirico, il misterioso, il teosofico, lo spiritico, proteso (nel suo modo di ateo) al divino, ma in senso ‘greco’, sono presenti nella sua opera. E sono la ‘bottiglia’ dentro cui ‘ronza’, fino a estenuarsi, il suo delirante racconto poetico dell’uomo intrappolato. La vita è un flusso continuo che noi cerchiamo d’arrestare, di fissare in forme stabili, determinate dentro e fuori di noi, perché noi siamo già forme fissate e la coscienza è una momentanea costruzione di finzioni psichiche oltre le quali c’è un’altra realtà che per noi è inconoscibile: schiavi come siamo della ‘bestia’ che è in noi.

L’ ‘Umorismo’, che il ‘grande’ lo fa ‘piccolo’ (l’uomo è una mosca, la vita è una bottiglia) è, per definizione, quel ‘sentimento del contrario’ che serve per rovesciare e scardinare tutte le certezze e talora infrangere la bottiglia-trappola e trovarsi… ‘oltre’; magari con ‘la testa rotta’, ma… ‘oltre’.

I giganti della montagna è certamente il punto più ‘alto’ di quell’ ‘oltre’. Oltre l’esistenza sconciata della vita-trappola.