Tre film per tenere viva la Memoria

74 anni fa, il 27 gennaio del 1945, le forze sovietiche dell’Armata Rossa entravano nel campo di concentramento e di sterminio di Auschwitz, scoprendo l’orrore perpetrato dai nazisti.

Finiva così il più grande genocidio della storia, oggi chiamato col nome di Shoah (preferibile a quello di Olocausto che rimanderebbe a sacrifici animali dovuti alla divinità), che ha portato alla morte di circa sei milioni di ebrei, oltre ad un numero maggiore di minoranze etniche, fra cui rom, sinti ed altre popolazioni slave. Una pagina della storia dell’umanità fra le più tragiche, che abbiamo il dovere di ricordare, perché, come ha scritto Primo Levi: “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre.”

A modo nostro abbiamo deciso di ricordare questo tragico evento consigliandovi la visione di alcune fra le pellicole più intense che sono state realizzate su questa tematica.

Sterminata la filmografia, decine, forse centinaia i film che trattano l’argomento. Nell’immediato dopoguerra i fatti erano ancora troppo recenti, la ferita troppo fresca per poterne parlare. Il mondo, che vedeva man mano le prime immagini dei campi di concentramento, restava sgomento, incredulo di fronte a tanto feroce odio. Rari i film che vertevano sul tema dello sterminio degli ebrei negli anni Quaranta e Cinquanta, con qualche eccezione come “The Search” di fred Zinnemann (1948). Fondamentale sarà il processo realizzato nei confronti del criminale nazista Adolph Eichmann, fra i principali responsabili del “Problema della soluzione finale”. Fuggito dopo la guerra in Argentina, venne scovato e portato in Israele, dove fu giustiziato nel 1961 e condannato a morte. Le immagini di quel processo entrarono nelle case di tutto il mondo, la rabbia e il dolore si canalizzarono nei confronti di quell’uomo che era “l’incarnazione dell’assoluta banalità del male”, come scrisse Hannah Arendt. I tempi cominciavano ad essere maturi per una narrazione dei fatti sul grande schermo. Si cominciò ad intensificare il numero di pellicole prodotte, fino all’exploit degli anni Ottanta e Novanta, quando uscirono alcuni fra i più celebri titoli.

Questi i tre titoli che vogliamo consigliarvi, perché, per i premi e i riconoscimenti ottenuti, si sono depositati nell’immaginario comune legato alla memoria di questi tragici eventi.


La scelta di Sophie, di Alan J. Pakula, 1982.

Tratto dall’omonimo romanzo di William Styron, il film vede Meryl Streep come protagonista, in un ruolo tormentato che le è valso l’Oscar come miglior attrice protagonista. La pellicola narra la storia di Sophie, ebrea ex internata in un campo di sterminio, che abbandona al suo destino la figlia per salvare sé stessa e l'altro figlio, divenendo collaboratrice del comandante del lager di Auschwitz. Una scelta che ha segnato angosciosamente la sua vita, e che racconta in seguito a Stingo, uno scrittore vicino di casa a New York, dove si è trasferita col marito.

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Schindler’s list, di Steven Spielberg, 1993.

Tratto dal libro di Thomas Keneally, il film narra la vera storia di Oscar Schindler, industriale tedesco che riesce a farsi assegnare alcune centinaia di ebrei relegati nel ghetto di Cracovia per farli lavorare nella sua fabbrica. Sebbene sembri sfruttarli, in realtà li salva dalla deportazione. Il tedesco prenderà la faccenda come una missione salvifica, e arriverà a comprare quasi 1200 ebrei, salvandoli dalla terribile fine.

Ispirandosi ai filmati d’epoca, Spielberg utilizza un bianco e nero quasi documentaristico, e l’unica tinta di colore sarà data alla pellicola dal celebre cappottino rosso della bambina, in un’immagine iconica e indelebile. L’opera è una delle più intense ed evocative mai realizzate sulla Shoah, ed è valsa al regista ben sette statuette, fra cui quella per il miglior film e la miglior regia.

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La vita è bella, di Roberto Benigni, 1997.

Film sospeso fra il tragico e il comico, fra fantasia e realtà, narra la vicenda di una famiglia aretina che vive in tranquillità durante gli anni del regime fascista. Guido, Dora e Giosuè verranno però deportati in un campo di concentramento, dove il padre (uno straordinario Benigni), cercherà di convincere il figlio che tutto quello che vede è in realtà solo un grande gioco di ruolo, dove sono quotidianamente sottoposti a dure prove in vista di un premio finale. Una favola nera che tratta la tragedia in maniera fantastica, sottile, come solo i più grandi sanno fare (si pensi a Il grande Dittatore di Chaplin). La poesia e la bellezza dopo Auschwitz sono ancora possibili, come diceva il poeta rumeno Paul Celan, e come ribadisce Benigni.

Incetta di premi anche per questo capolavoro che ha vinto sia l’oscar al miglior film straniero che quelli al miglior attore e alla migliore colonna sonora.

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“Quelli che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo.”