L'Amletico

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Richard Wagner: “Una visita a Beethoven”

Nell’immaginario collettivo Richard Wagner è sinonimo di noia. Lo è ingiustamente, ma io stesso, al lavoro, minaccio i colleghi, che esagerano con la musica trap o di altro dubbio gusto, intimando di costringerli ad ascoltare l’intera tetralogia.

«Adesso vi metto Wagner» è la mia solita, innocente minaccia. Se solo sapessero le delizie! Ma ammetto di sorbire io stesso a piccole dosi i dolci sorsi: Wagner è sempre lunghissimo. Non è noioso, ma richiede tempo, richiede attenzione, richiede attenzione nel tempo e non tutti i giorni si ha la possibilità di averne.

Quando ho acquistato questo libriccino - perché è davvero breve - sono stato certamente invogliato da un amore smisurato per Beethoven e per la curiosità di cosa potesse dirne un altro genio.

La mia previsione era quella di leggere un appassionato, denso saggio sulla musica del compositore di Bonn, temendo però di faticare, o di non riuscire a comprendere del tutto quello che aveva da dire - d’altra parte, ognuno si sente al sicuro più in certi ambienti piuttosto che in atri, a prescindere dalla quantità d’amore messa in gioco: io che amo moltissimo la musica so di comprenderla con estrema difficoltà e mi sento molto più a mio agio con la letteratura, che non amo meno, né di più. Se ho l’ardire di cercare di non essere banale quando parlo di libri, ho la certezza di esserlo quando parlo di musica, chiedo perdono. Perciò, considerate anche le mie difficoltà, mi piace molto leggere le parole scritte dai compositori, perché parlano un linguaggio per me più intelligibile. Wagner che parla di Beethoven è stata una tentazione troppo appetitosa.

Leggendo questo libro adorabile, mi sono trovato davanti ad un Wagner decisamente diverso da quello immaginato: un Wagner giocosamente ironico.

Il libro sfrutta una cornice di fantasia, il pellegrinaggio del giovane Richard - una sorta di alter ego dello stesso Wagner - a Vienna, verso la casa dove abita il grande Beethoven per parlare in realtà della musica di quest’ultimo, in particolare della nona sinfonia, dipingendo nel contempo un ritratto dell’uomo che l’ha composta. Parla con una venerazione così colma di commozione che ha fatto commuovere anche me, facendo fremere la mia stessa reverenza nei confronti di Beethoven, sebbene decisamente meno consapevole rispetto a quella che aveva Wagner.

Proprio nella cornice, comunque, si trova tutta l’ironia dell’autore, che è francamente esilarante. Tanto per capirsi, il giovane e squattrinato Richard apre il libriccino con una preghiera alla Povertà, «sola dea del musico tedesco» e sua nemesi giovanile. Racconta di come abbia dovuto racimolare i soldi per poter intraprendere questo pellegrinaggio, di come abbia dovuto prostituire la propria arte per il denaro, e dei vari ostacoli da lui incontrati lungo la strada per Vienna, incarnati in modo grottesco da un assillante nobiluomo inglese, anch’egli in viaggio per conoscere il sommo maestro. Ah! Gli adorabili cliché sui turisti inglesi d’altri tempi!

Poi, come i grandi scrittori, Wagner inizia a descrivere un personaggio tragico e di intenso patetismo: Beethoven viene presentato come un uomo già molto famoso, ma passato di moda, completamente sordo; nel libro, ha appena finito di comporre la nona sinfonia, confidando a Wagner di dubitarne, o almeno, di dubitare del suo successo, non del suo valore. Beethoven parla del valore della musica strumentale, di quello della musica vocale e di come egli pensi che la loro unione possa dare inizio a quel «fenomeno divino della conoscenza».

Wagner confida di avere le lacrime agli occhi e di sentire l’impulso ad inginocchiarsi davanti al maestro per essere stato iniziato da lui a quella sua «prodigiosa ultima sinfonia […] ancora ignota a tutti» ed io confesso di aver partecipato delle sue sensazioni. Non riesco ad immaginare che la nona sinfonia sia stata «ignota a tutti», e che ancora qualche anno dopo, come dice Wagner stesso nelle pagine seguenti, fosse «così poco popolare». Sembra impossibile, ma il racconto delle pagine successive è proprio quello della non immediata fortuna della nona, che invece sembra avere ai miei occhi, oggi, le caratteristiche divine dei grandi capolavori, mai nati, sempre esistiti. Wagner ha davanti a sè la verginità dell’opera d’arte di cui comprende immediatamente il valore, intonso, che presto benedirà l’umanità intera e diventerà gloriosamente immortale.

Dal punto di vista della storia della musica sono pagine estremamente interessanti, che danno contezza di come il compositore di Lipsia si sia speso in prima persona per diffondere e fare amare il verbo di Beethoven.

Quindi, si sappia che se intimo di leggere questo libriccino sto dando, in realtà, un consiglio spassionato ed affettuoso, e che tutto sommato il consiglio ha uguale valore anche quando minaccio con Lohengrin o con Parsifal.

Sulla nona invece non si scherza! Si corra ad ascoltarla immediatamente, marsch!, e che sia di buon augurio per questo nuovo anno.