L'Amletico

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Presentazione di "Lettera a mia madre" - Francesco di Benedetto

Foto di Federica di Benedetto 

"Sbalzi di vuoto tra parole". Così Francesco di Benedetto ha definito, quando gli ho chiesto cosa rappresentassero per lui, gli ampi spazi tra un verso e l'altro che caratterizzano molte delle poesie di questa sua seconda raccolta ("... che in realtà è un unico componimento poetico").
Ora, non introduco certo un elemento di novità dicendo che per capire la poesia occorre conoscere l'essere umano che dietro ad essa si cela. Tuttavia in questo caso non posso rinunciare a sottolinearlo: incontrare di persona Francesco è stato fondamentale per poter anche solo sfiorare la comprensione delle sue composizioni. Innanzitutto perché parliamo di un uomo assolutamente brillante e colto, in secondo luogo perché la genesi della sua letteratura si ritrova in eventi traumatici che, in sede di presentazione, ha avuto il coraggio di raccontare.
Impavido, a più riprese, ha nominato il suo nemico, quello che ha combattuto, combatte e combatterà ancora: un disturbo bipolare a carattere maniacale, che Francesco ha definito come un "non riuscire mai a smettere di pensare" e del quale ha voluto raccontare l'impatto sugli affetti e sulla mente. Un vortice infinito di pensieri, senza vuoti, senza spazi bianchi, senza soluzione di continuità. Ecco che le parole con cui ho voluto aprire questo articolo appaiono nel loro significato più profondo: Francesco ha voluto riappropriarsi del vuoto, del diritto a riflettere contrapposto all'imposizione del pensare continuo. Questo appare ancora più chiaro quando ci spiega la duplice accezione che per lui assume la pagina bianca:
 - o come "ferita"
 - o come pagina scritta ma con pochissime parole, che dal bianco sembrano essere risucchiate ("È come se rimbombassero nel vuoto").
Una sostanziale liberazione da quella sensazione di non riuscire ad aprire un varco di luce tra i pensieri che, implacabili, annebbiano la mente ("Il singolo brano è un momento del flusso d'immagini").

Foto di Federica di Benedetto 

Un aspetto che rende molto interessante l'opera di Francesco è il suo rapporto con la letteratura, che nasce in modo contemporaneo al suo rapporto con la scrittura: "prima di scrivere, non è che non leggessi, ma principalmente amavo la saggistica dato che provengo da studi di critica cinematografica". Il suo background non è quindi quello del classico scrittore precedentemente divoratore di libri, tanto meno di poesia. L'inevitabile conclusione è che la poesia proposta è del tutto sperimentale, scevra da influenze di grandi autori quanto condizionata dalla fotografia, dal cinema e dai media ("Il film era il mondo degli affetti, delle emozioni"). La scrittura dunque più che esercizio intellettuale diventa "gesto ideografico" che rappresenta l'irregolarità dei pensieri. 
Ciò che la poesia di Francesco ci lascia è un profondo senso di intimità, riesce a portarci nel suo mondo coinvolgendoci nei suoi affetti che tanto contano ed hanno contato nei suoi 35 anni.
Sono andato a questa presentazione da assoluto profano della composizione poetica, un po' per caso, ma ne sono uscito arricchito dall'aver potuto conoscere ed ascoltare un uomo sensibile, umile, che colpisce per intelligenza e per la sua immensa proprietà di linguaggio. Su questo, sul rapporto che Francesco ha con la parola, apro la mia ultima parentesi: difficilmente si incontrano persone con tanto rispetto per le parole; lui le soppesa ad una ad una, le calibra per dare a ciò che dice un significato vero, univoco; nella sua poesia accade lo stesso, e credo questo sia un gesto di grande rispetto nei confronti non solo della "parola" ma anche del proprio interlocutore.
Ecco, questo è Francesco. Francesco non apre bocca per dargli fiato. Francesco non si gonfia di orgoglio autoreferenziale quando gli chiedono di leggere i suoi versi. Francesco è un poeta. Francesco è poesia. Un monito, la sua storia, per tutti quelli che ancora oggi di fronte al "diverso", al "malato" non riescono a vedere oltre il velo di compassione (vera o presunta) con cui si bendano, rinunciando alla bellissima complessità di cui tutti siamo fatti. Un invito, la sua poesia, a leggere, perché ancora una volta è soprattutto nei libri e nella letteratura che possiamo scalfire quella superficie che vediamo con gli occhi, avendo il coraggio di immergerci nelle profondità delle vite umane. Mi auguro che Francesco, e tanti altri come lui, vogliano continuare a farci dono dei frutti delle loro magnifiche menti.