La magia dei Florence and the Machine incanta l’Unipol Arena di Bologna

Quando sullo scenario senza tempo di una nave in legno l’inconfondibile arpa della Machine incontra il timbro unico di Florence, parlare semplicemente di concerto diventa riduttivo.

Bologna è la prima tappa italiana dell’High as hope Tour e la line-up è figlia naturale dell’omonimo ultimo album. Sin dal principio si intuisce che sarebbe stato qualcosa di diverso, qualcosa a cui non eravamo preparati e a cui forse, purtroppo o per fortuna, preparati davvero non lo saremo mai. C’è troppa bellezza, grazia ed eleganza tutta insieme da restarne prima affascinati, poi completamente sopraffatti: se veramente esiste un’estetica della musica, Florence + the Machine la incarnano alla perfezione.

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Sul palco esplode un’energia dirompente in cui la musica trascende tutta la spiritualità della sua autrice ed interprete, così chiaramente percepibile eppure al tempo stesso così inafferrabile. Florence Welch è una visione mistica disarmante, una figura eterea che fluttua sul palco, danzando in punta di piedi, perfetta ed elegante in ogni sua movenza. La leggiadria del corpo si unisce, fino a confondersi, con la potenza mai invadente della voce mentre i capelli rossi fanno da naturale seguito alla pallida veste a suggellare la magia di uno spettacolo impossibile da dimenticare. Una sirena, una dea, un angelo, una rossa vestale, Florence è tutto e niente. Forse è semplicemente soltanto Florence, troppo moderna per essere hippie, troppo trascendentale per essere classificata.

Il suo è un inno mai banale all’amore in ogni sua forma e destinazione, che sia la città d’origine, la natura, un animale o Patti Smith poco importa. Il messaggio è così ecumenico da essere ormai fuori moda e cullati dal canto unanime – hold on to each other – ci ritroviamo subito abbandonati ad una vera e propria estasi collettiva. Come vittime di un incantesimo, senza neanche accorgercene, ci rincontriamo avvolti in un’atmosfera onirica, ormai partecipi di quel cosmic love che avevamo accarezzato solo nei nostri sogni più reconditi.

La sorprendente potenza comunicativa che emerge dal modo in cui Florence canta e balla sembra quasi irridere la timidezza che fatica a nascondere durante i vari intramezzi. Come se la sua vera dimensione fosse un’altra, come se il suo linguaggio fosse quello del corpo che si risolve nel canto e viceversa. L’intera esibizione è uno stupefacente climax di interazione che, dopo un approccio iniziale a tratti timoroso, culmina nell’abbraccio con il pubblico devoto, testamento di un’empatia speciale che va oltre ogni rapporto tra l’artista e la sua platea.

Sfiorata come una reliquia dai suoi adepti, li accarezza con pathos e tenerezza, un po’ madre, un po’ guru. Quando si getta tra la folla rimane magicamente sospesa tra le mani protese dei discepoli in totale adorazione della regina con la corona di fiori. E noi, come vittime di un incantesimo, senza neanche accorgercene, sulle ultime note di shake it out ci risvegliamo storditi, nell’incredula suggestione di aver vissuto in un sogno.