BAU BAU!

Due fratelli, Roberto e Alberto, uno sui sedici anni e l'altro di appena quattro, molto diversi tra loro e non solo per motivi anagrafici. Uno, il grande, irrequieto, sempre a discutere, alla continua ricerca di un’occasione per dire il contrario, nei casi migliori per sbuffare. L'altro, il piccolo, tranquillo e accondiscendente, sempre a cercare la benevolenza di tutti.

Poi, c’è Fido, un setter ormai vecchio, dagli occhi teneri, se fosse un uomo si direbbe rassegnato. Affettuoso, con la coda che, quando le energie ancora glielo consentono, lui scodinzola per ricordare a tutti il suo affetto elargito a piene zampe senza chiedere niente in cambio. Con la padrona, la madre di Roberto e Alberto, è più che una convivenza, è una vera e propria relazione anche se, come con il tempo succede a molte coppie, i due non dormono più insieme da quando l’età ha confinato Fido in una cuccia ai bordi del letto, da dove lui può però continuare a non perdere di vista la sua compagna di una vita.

Si è detto di Roberto, il figlio irrequieto. Un giorno, al termine di un’ennesima lite conclusasi con lui in precipitosa uscita sbattendo la porta, la madre, senza pensarci più di tanto, lo ha raggiunto con questa frase "meglio un cane che un figlio, un cane non peggiora crescendo!" Una frase rimasta sospesa in aria perché il ragazzo era ormai sul pianerottolo, il cane era lì ma non era ovviamente in grado di intenderla e Alberto era troppo piccolo per poter ragionare sui problemi dell'adolescenza. Ma non così piccolo da non cogliere il senso più elementare di quel "meglio un cane che un figlio!" e di quel riferimento ai possibili effetti deleteri della crescita.

Di fronte a questo sfogo accorato Alberto ha infatti pensato qualcosa. Ha pensato che per quanto lo riguardava quello che aveva detto sua madre non era vero. Che lui, diversamente da suo fratello, non si sarebbe comportato peggio di un cane e soprattutto, al pari di quello che secondo sua madre facevano i cani, non sarebbe peggiorato crescendo.

È stato così che un giorno, senza rendersene conto, il piccolo Alberto, mentre se ne stava accucciato sul tappeto del salotto accanto a sua madre tutta presa a sferruzzare, aprì appena un po' la bocca e, sottovoce, disse "bau bau!" Il fatto è che sua madre non intese bene quel tenero latrato che scambiò per uno dei versi che i bambini fanno per accompagnare i loro giochi e, cambiando in quel modo la vita di Alberto, inconsapevolmente gli sorrise. "Bau bau!" sorriso, sorriso "bau bau!", la strada era ormai in discesa perché quando in casa sua madre e suo fratello alzavano la voce, Alberto, pensando a come procurarsi un sorriso invece dei rimbrotti che investivano suo fratello, diceva sottovoce "bau bau!" Per chiarire che quella lite non lo riguardava, che lui somigliava a Fido e non ad altri.

Finché un giorno successe che - o perché il bau bau gli uscì di bocca a voce un po' più alta o perché intorno si era fatto improvvisamente silenzio – sua madre si voltò verso di lui pensando che avesse voluto dire qualcosa. Alberto la guardò smarrito e, scuotendo leggermente la testa, alla domanda "cosa hai detto?" dopo un attimo di incertezza ripeté "bau bau!" Questa risposta avrebbe dovuto produrre una nuova domanda – “cosa?” o roba del genere – e invece gli procurò, come sempre, un bel sorriso. La strada in discesa era diventata un’autostrada, anche questa in discesa.  

Quella fu solo la prima volta. Successe infatti che, quando pensava di dover   assicurare a sua madre che il suo amore per lei sarebbe rimasto al riparo dal passare del tempo, non faceva discorsi complicati ma, senza più alcun imbarazzo, diceva "bau bau!" vedendo che non accadeva mai nulla che potesse indurlo a non farlo, anzi gli arrivava un bel sorriso. Come se quel suo continuo latrare fosse ormai entrato a far parte del normale linguaggio familiare.

Finché fu piccolo, la cosa non creò mai veri problemi. "Le stranezze di un bambino," si pensava, "chissà cosa gli passa per la testa".  Quando divenne grande, però, le cose cominciarono ad andare diversamente. Quel bau bau usciva fuori non più per dimostrare che lui non era da meno di Fido in quanto ad affetto per sua madre ma nelle occasioni più diverse. Un giorno, per dichiararsi a una ragazza di cui pensava di essersi innamorato, dopo averle detto “ti amo”, sussurrò con un filo di voce “bau bau” e successe che la ragazza lo ricambiò con un sorriso pensando che lui si fosse inventato per lei un originale lessico amoroso. Successe anche che la ragazza, per ricambiare la tenerezza, gli disse “sei il mio cucciolone” aprendo la strada a una serie di bau bau che si protrassero per tutta la durata della loro storia d’amore.

Ed è inutile ricordare che quando Fido, quello vero, morì, Alberto, dopo averlo sepolto nel giardino di casa, lo salutò con ripetuti bau bau ricchi di affetto e di nascosta complicità. E anche con un po’ di sgomento pensando che se ne fosse andato per sempre l’unico essere veramente in grado di capirlo. Inaspettatamente accadde che quelli che erano presenti alla sepoltura di Fido si unirono al saluto e dissero in coro “bau bau!” dando luogo a un addio che parve a tutti molto bello e, soprattutto, l’unico veramente appropriato alla situazione.

Gli anni passavano e Alberto attraversò tutta la vita facendo di continuo bau bau e bisogna dire che, se si escludono gli sguardi increduli della gente, la cosa si risolveva sempre senza grandi problemi, anzi spesso con ottimi risultati. Non gli veniva mai in mente che tutti quei bau bau dovessero essere qualcosa di strano se lui era l'unico a fare così né, ovviamente, pensò mai di essere un cane. Anzi, essere rimasto sempre uguale a come sua madre gli aveva fatto intendere che dovesse essere gli dava la rassicurante sensazione di possedere un'identità che non aveva subito i dannosi effetti del passare del tempo, un privilegio riservato sempre ai cani e solo raramente agli umani.

Il giorno che morì, al medico che gli chiedeva "come va?", Alberto a tal punto si sentiva ormai più di là che di qua che non ebbe la lucidità di rispondere, come avrebbe voluto, "bau bau!" Fu un vero peccato, perché proprio all'ultimo momento non riuscì a mostrarsi all'altezza di se stesso e disse "insomma, non va mica troppo bene!"