Marguerite Duras – "La Vita Materiale"

Titolo originale: La Vie Matérielle

Traduzione a cura di: Laura Guarino

Casa editrice: Universale Economica Feltrinelli

Edizione: 1988

Pagine: 151

"Questo libro non ha inizio né fine, non ha centro. Dal momento che non vi è libro senza una ragion d’essere, questo non è un libro."

Somiglia, La Vita Materiale, a un documentario.

Pubblicato nel 1987 e tradotto in Italia da Feltrinelli nell’88, il volume è un filmato degli interni quotidiani riservato a pochi intimi. E forse, nemmeno a quelli.

Non è un romanzo né un racconto, tantomeno un poema. È un documento.

Ufficialmente, si tratta del risultato della trascrizione di alcune conversazioni che l’autrice ha tenuto con Jérôme Beaujour, scrittore e sceneggiatore francese, che le sopravviverà.

In verità, Marguerite Duras ha dato vita a un ponte che facesse del peso della vita interiore il gemello di quella materiale; della vita esteriore, sociale, politica. Ha legato, con le parole, la materia all’invisibile.

Come in una specie di album fotografico, La vita Materiale scorre per immagini. Quarantanove, per la precisione. 49 diapositive, ciascuna sigillata da un titolo.

Dalla lista della spesa, ai traslochi avvenuti, i cambiamenti di luogo e di spazio. Dai risultati di questi traslochi alle attese nelle nuove case. Dall’indipendenza dalla madre, alla dipendenza dall’alcol. Il dolore, il silenzio, le opinioni taciute, le allucinazioni. Tutto il quotidiano e gli scarti dei sogni, l’hic et nunc del tempo, tutta la vita materiale, il caos che la investe e l’ordine che questo caos necessita. Tutto è rivisitato, riflettuto e riconsegnato dentro queste preziose, grevi e gravide pagine.

Sono parole, le sue, che nascono dalla bocca. Sono parole che sono state dette, forse ripetute. Poi ricordate, trascritte dunque e ri-elaborate, ri-vissute, ri-processate in un lavoro di riappropriazione del proprio mezzo artistico: la scrittura.

Forte è la componente orale che investe il volume. Altrettanto potente l’effetto che quest’oralità conferisce alla parola scritta: leggere La Vita Materiale è un invito a varcare la soglia di un’intimità tanto recondita quanto sfacciata. Ci si imbarazza di fronte a tale fluida sincerità. Senza riserve, tutto il "detto" di una vita si affida a un inchiostro cui non importa molto di essere letto. In fondo, questo è l’effetto Duras. Ogni suo romanzo è l’arteria di un corpo in continua ricostruzione. C’è l’Indocina, la giovinezza, la rabbia, la paura, l’amore, la povertà. Ci sono occhi, labbra, sguardi. Silenzi. Tanti silenzi. I canti, l’elemosina, il sesso. Ogni ricordo è un corpo vivo e spoglio della fissità che lo identifica erede dell’identità. La scrittura è leggiadra e aspra, vera come i lividi che seguono i colpi. Ogni angolo di strada è un ricordo e una sterzata: una direzione, due, mille, nessuna.

Un lavoro registico dunque. Degno della Duras regista. Perché sì, la Duras è stata anche una regista; e questo fatto non stupisce: se la percezione della realtà è tutto ciò che rende autentico il proprio stare al mondo (e con esso la conseguente ricerca di se stessi),allora lo sviscerare i mezzi dell’arte corrisponde a sviscerare i propri contenuti, sempre vergini e ignoti, che occorre ricordare e poi dimenticare.

Questa è La Vita Materiale. Il negativo di tanti frammenti, la testimonianza del processo creativo della mente di un poeta. Anzi, di una poeta.

Perché Marguerite Duras è stata una donna che ha sfidato, con le gambe prima e con la penna poi, ogni desinenza sociale che la voleva creatura docile e silenziosa.

Nata e cresciuta nell’Indocina francese, non ha mai smesso di fare di quei luoghi lo scheletro dei suoi romanzi e, con essi, la sua stessa vita, sempre rimescolata, oltremodo ridiscussa sulla pagina.

Oggi avrebbe compiuto 103 anni.

Buon Compleanno, Signora Duras.

Media Critica e Pubblico*: 7.8/10

Gradimento: 8/10

*v. fonti in calce

Altre recensioni

Goodreads (3.99/5)

Anobii (3.7/5)