L'Amletico

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Motta: La fine del Tour (Romano)

Data: 22/03/2017

Luogo: Roma, Monk club

Genere: alt-pop, alt-rock, indie

Durata: 90 m

Prezzo: 10€

Etichetta: Sugar

È stata una vera corsa contro il tempo accaparrarsi i biglietti per la seconda data romana sold-out del cantante pisano, ma ormai ci siamo, sono le 22 e il Monk è già colmo di gente e ultra-ventenni, generazione alla quale l’ex frontman dei Criminal Jokers si ispira nel suo primo disco solista, ”La Fine Dei Vent’Anni”.

”È come se riuscissi a incanalare meglio la mia energia creativa e a gestirla meglio”, così spiegava in un’intervista com’è vivere la sua fine dei vent’anni e, a vedere da come si muove sul palco insieme alla sua band, sembrerebbe proprio così. Scaldano l’atmosfera i Campos con i loro mix di folk ed elettronica, (anch’essi formati da un ex componente dei CJ).

Dopo il loro set, le gelide luci blu fisse sul palco si attenuano e il concerto inizia.

Si è subito avvolti da un sound potente, ipnotico e dalla sua inconfondibile voce elettrica e alienante. I primi due pezzi scorrono via fluidamente senza interruzioni, finché Motta rompe il ghiaccio e si apre al pubblico presentando prima la band, e abbandonandosi poi a digressioni sulla sua vita frenetica, su Roma e sul suo percorso professionale, il tutto con inaspettata e piacevole ironia.

Una piccola introduzione prima di alcuni pezzi ci lascia intendere un forte legame da parte dell’artista, in particolare ”Mio padre era un comunista”, “Roma stasera” o “Del tempo che passa la felicità”, ma ciò che più colpisce è la piena empatia che manifesta verso il pubblico, i suoi musicisti, la sua famiglia e chi ha creduto in lui, in particolare il suo noto produttore Riccardo Sinigallia.

Musicalmente il gruppo non sempre rimane fedele alla struttura originale dei pezzi e, in qualche occasione, si lascia trascinare in chiusure improvvisate e ossessivamente dilatate per svariati minuti (scelta che generalmente mi emoziona e apprezzo molto da parte di una band), facendo cadere vorticosamente il pubblico in una sorta di trance.

Il pubblico si lascia avvolgere da quest’atmosfera intrisa di malinconia post-rock e sonorità più intime, a tratti desertiche, che ricordano anche gruppi come i recenti Tinariwen - non a caso originari del Mali. L’aspetto ipnotico e criptico delle canzoni di Motta in finale risulta molto coinvolgente dal vivo e la sua voce rende il concerto ancor più interessante e originale. Anche pezzi più freschi come “Prima o poi ci passerà” o “Sei bella davvero”, da lui annunciata
come una canzone a cui non dava molto peso, alla fine trovano totale partecipazione da parte del pubblico.

Il live è ben studiato per quanto riguarda le luci e la scenografia, nulla viene fatto a caso, ma è tutto immaginato ad hoc per enfatizzare alcuni violenti stacchi musicali o le introduzioni più minimaliste e suggestive. È d’impatto l’enorme logo presente al centro dello sfondo, formato da sole linee ricoperte di led che compongono la scritta Motta (qui il richiamo al logo del gruppo tedesco Moderat è molto evidente, ma funziona bene e si sposa perfettamente con le atmosfere a volte dark, a volte più rilassate).

Quello che propone Motta in conclusione si potrebbe definire un’esperienza che apre l’animo a tutte quelle emozioni e quei pensieri più nostalgici e nascosti, uno sguardo agli anni passati, alle esperienze vissute, ma soprattutto a quei vent’anni spensierati da rivivere giorno per giorno.

Ora, come annunciato a fine concerto, è tempo di una lunga pausa dopo queste ultime date, oltre a uno psicologo per lo stress e il disagio costante dopo un tour estenuante attraverso l’Italia, ma la speranza è che il prossimo disco non si intitoli “La Fine Dei Trent’anni“.

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