Andrea Gandini: La metamorfosi del legno

Se ne va in giro per la città con scalpello e mazzuolo, lo si può incontrare all’opera per le strade di Roma, accovacciato su di un tronco, a scolpire volti nel legno fra lo stupore dei passanti.

Si chiama Andrea Gandini, ed è un giovane, giovanissimo (classe 1997), artista romano.

Diplomatosi al liceo artistico Ripetta, ha cominciato a scolpire in garage, uscendo poi per le strade della città. Individua i tronchi recisi, ormai morti, e gli restituisce una vita, un volto. Si tratta quasi sempre di volti umani, spesso un po’ malinconici, con gli occhi chiusi o senza pupille (evocativi delle maschere tradizionali africane e dei volti dipinti da Modigliani), come se questi personaggi scolpiti rappresentassero l’anima dell’albero, triste per lo stato di abbandono.

Partendo da Monteverde, il suo quartiere, si è poi spostato a Trastevere, a Testaccio, sull’Aventino, e sono ormai moltissimi i suoi lavori. Proprio sul colle dell’Aventino, davanti alla chiesa di Santa Sabina, c’è una delle sue sculture più belle: un bambino con gli occhi chiusi, forse un feto, emblema della vita, che torna a dare linfa all’albero.

Questo tronco dialoga idealmente con un altro legno scolpito, quello vicinissimo della porta di Santa Sabina, risalente al V secolo (il più antico esempio di scultura lignea paleocristiana).

Un legno di cipresso, che dopo oltre quindici secoli si lascia ancora ammirare in tutto il suo splendore; chissà se anche i tronchi di Andrea Gandini sono destinati a durare così a lungo, perché si sa, la vita (in questo caso quella dell’albero), è breve, ma l’arte è destinata a durare nel tempo: “ars longa, vita brevis.”